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Lettere di Franti/

La scuola all’8 Marzo!

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Primavera s’avanza, s’avanza la stagione della rinascita. È lo zefiro delle donne, che scendono in piazza contro oppressione, sfruttamento, sessismo, razzismo, omo e transfobia. E c’è anche la scuola!
Quale occasione migliore, dunque, che quella in cui è dato di vivere una giornata di ribellione comune, di libertà dei corpi e libertà dal lavoro?

Ché di atti di ribellione ha bisogno la scuola! Non di scioperi rituali, rivendicativi, ‘sindacali’!
– L’oppressione dettata da vecchi e nuovi assetti del mondo della scuola,
– l’oppressione gerarchica da parte dei ‘prèsidi’,
– il ricatto oscuro dei bonus
. la deterritorializzazione dei precari e precarie dell’immissione straordinaria,
– la riduzione ad azienda d‘un luogo preposto alla conoscenza,
– l’immiserimento della figura dell’insegnante a triste esecutore d’ordini e scribacchino/a,
– l’attenzione prestata alla cosiddetta “formazione” dei nuovi docenti per sterilizzarli ‘a monte’,
– la riduzione in povertà di chi lavora, ‘nella scuola e non’, per assenza di qualsivoglia aumento salariale degno di questo nome,

    meritano solo atti di ribellione!

Che dire poi della filosofia del ‘controllo’ che permea, dentro e fuori la scuola, le nostre vite e quelle di chi vi studia? Che dire della ‘meritocrazia’, vera e/o falsa che sia? Delle ‘tecniche valutative’ dell’Invalsi? Delle sue ricadute negative sull’insegnamento? Della categorizzazione delle conoscenze, della docimologia, della classificazione dei comportamenti atta a determinare premi e sanzioni? D’un registro elettronico che deresponsabilizza lo studente, mentre induce l’insegnante a ridursi a braccio agente di un controllo panoptico?
E cosa dire infine, o piuttosto innanzitutto, della generalizzazione dell’alternanza scuola-lavoro, tirocinio, stage, perenne apprendistato? Della diffusione dell’idea perversa del lavoro, sì LAVORO, non già ATTIVITA’ LIBERA dai vincoli della società del Capitale, ma LAVORO prestato GRATIS? Cosa dire del disegno che vuole gli studenti piegati a quest’idea e destinati a precarietà o a ingrossare le file di lavoratrici e lavoratori sottopagati e sfruttati?

                 Tutto ciò non può essere affrontato solo con forme rituali di opposizione.
                                           Tutto ciò richiede ‘molto di più e altro-da’.

L’articolazione di questo ‘molto di più e altro-da’ deve essere ricercata nella quotidianità del nostro stare a scuola, studenti*&lavoratori*, nel non lasciar cadere le occasioni di conflitto reale, sulle cose concrete, nel vincere la paura di ritorsioni e ritrovare il coraggio di scoprire punti di rottura possibili.
Ma ‘molto di più e altro-da’ può fornire a tutt* noi questo stesso  “movimento dalle donne”, se saremo in grado di arricchirne la forza sovvertitrice.

Si potrà scioperare anche il 17 marzo, ben venga, “ben venga maggio e ‘l gonfalon selvaggio!”, ma scioperare l’8 significa per noi dare valore alla ‘complessità’ dei temi sollevati quel giorno: oltre quello ‘fondante’ di opposizione alla violenza di genere, oltre la scuola: i/le migranti, il reddito, la critica del  lavoro. E dovremmo dire, anche se nessuno ne parla, in testa a tutto la GUERRA.  Il senso della giornata dell’8 supera di gran lunga ogni possibile rilievo critico e pone sul tappeto almeno la possibilità di incominciare a costruire un movimento in grado di coniugare opposizione di generi e opposizione di classe, incrociando le lotte. Intersezionalità forever!

                    Se questo sarà o no, non giace sulle ginocchia degli dèi !
                     8 MARZO, PARTECIPIAMO allo SCIOPERO e al CORTEO

cobascuolamilano/cobRas  –  franti  https://franti.noblogs.org/
milanofebbraio2017

 

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Perché noi-Franti scioperiamo l’otto Marzo

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Noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché è uno sciopero inutile: non ha un interlocutore istituzionale, degli obiettivi specifici, una piattaforma rivendicativa. È puro dispendio di libera energia, di tempo perduto al lavoro, per questo a noi pare così prezioso.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché contro la miriade di scioperi istituzionali che rivendicano qualche briciola al Padre-Padrone-Stato, per stare comunque sotto il Padre-Padrone-Stato, qui non si rivendica niente (o forse tutto, che in fondo è la stessa cosa) comunque niente ad altri se non a noi stessi. Vogliamo essere solo molto esigenti con noi stessi.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché possiamo riscoprire lo sciopero nella sua essenza più propria, lo sciopero come allusione alla fine del lavoro, alla fine dei rapporti subordinati, alla fine del tempo imposto da altri, alla fine dei padroni. Scioperiamo perché immaginiamo la possibilità di uno sciopero infinito e lo sciopero è una finestra gioiosa in una strada irta di rogne.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché amiamo la rabbiosa caparbietà delle piazze in fiamme, delle collettività in rivolta, dei tumulti che si aprono al divenire.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché è bello stare in piazza quando in piazza si sta come singolarità e non come individui, come corpi danzanti che cercano la carezza di altri corpi che si muovono. Un po’ più come fluidi, un po’ meno come solidi, un po’ più come femmine un po’ meno come maschi.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché ci scopriamo giorno per giorno un po’ donne un po’ trans, un po’ gay, un po’ lesbiche e, perché no, anche un po’ maschi. E perché contro una società che ci vuole tutti normali a noi piace il colore/calore della diversità.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché odiamo la polizia comunque essa si travesta: da padre, da padrone, da celerino, da professore, ma sappiamo bene che l’odio è solo il limite a cui il nemico costringe la nostra voglia d’amore e non ce ne faremo travolgere.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché riconosciamo nei migranti l’altra faccia di noi stessi. Perché tutti proveniamo da qualche lontananza e tutti desideriamo una qualche vicinanza che ci faccia trovare una casa provvisoria per poi riprendere, forse, un altro viaggio.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché diventare minoranza, sottrarci alla tirannia della maggioranza, inventare un numero all’infinito di minoranze è la nostra più intima vocazione.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché un tempo lontano una parte di noi ha sognato di sognare e non si è ancora destata e un’altra parte prova a ripetere quel sogno.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché frequentiamo la scuola e sappiamo che tra quelle mura si coltivano passioni tristi: lavoro, dovere, carriera, concorrenza, gerarchia, futuro invece a noi piace l’infinita presenza, il piacere dei sensi, la bellezza dell’autonomia, l’opera inutile.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché come Antigone abbiamo capito l’intimo legame tra potere patriarcale e potere statale e li vogliamo distruggere entrambi.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché abbiamo a cuore il sapere come elaborazione collettiva e condivisa e non come privilegio e potere.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché conosciamo l’importanza della menzogna e la vergognosa ipocrisia del controllo globale. Perché viviamo di verità e non di confessioni, perché sappiamo che il conflitto esiste, e che non è una questione di ordine pubblico.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo ma in questo modo sciopereremmo anche il nove, il sette o il diciassette perché i simboli ci fanno venire l’orticaria.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché vorremmo smettere di essere Franti e dedicarci compiutamente a coltivare i nostri sogni spesso solo sussurrati.

noi-Franti
febbraio 17

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Il Franti, lo studente De Rossi ed il bonus della buona scuola

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Franti: “Ho captato una conversazione tra Preside e insegnanti, ma cos’è sto bonus?”.

De Rossi: “Una buona scuola deve avere un bonus da dare ai buoni, anche tra gli insegnanti ci sono i cattivi e i buoni e questi ultimi meritano una manciata di soldi in più”.

“Davvero? Ascolta quello che ho sentito:”

“Insegnante: Preside, cortesemente potrebbe dirmi i nomi dei colleghi che hanno meritato il bonus quest’anno?

Preside: Come osa farmi questa domanda?

Insegnante: Ma veramente… vorrei sapere i nomi dei colleghi per emularli; come dice un suo collega Dirigente Scolastico su Orizzonte scuola, il bonus ai docenti ha creato sana emulazione.

Preside: Se insiste con questa provocazione rischia una sanzione disciplinare!

RSU: Preside, vorremmo sapere i nomi dei colleghi che hanno meritato il bonus.

Preside: Fate richiesta scritta.

Dopo qualche tempo:

RSU: Preside, ha ricevuto la nostra richiesta scritta? Non ha ancora risposto. Gliela leggiamo a voce “Egregio Signor Preside, in qualità di RSU, a nome dei lavoratori di questa scuola, chiediamo che vengano resi noti i nomi dei colleghi che hanno meritato il bonus

Preside: Ho letto, ho letto. Purtroppo non posso dare seguito alla vostra richiesta, io non vedo, non sento, non parlo, c’è la privacy.

RSU: Preside, scusi, lasciamo perdere i nomi, possiamo immaginarceli, ponendo i nomi dei colleghi come X,Y,Z potrebbe dirci almeno quanti euro sono andati a X, quanti a Y, quanti a Z?

Preside: L’ho già detto, c’è la privacy, io non vedo, non sento, non parlo”.

“Franti, forse è meglio che non vai troppo in giro a raccontare questa storiella, non vorrei ne venissero delle rogne anche a te”.

“ma vafff…”

febbraio 2017

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Civil Conservation Corps (CCC)

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 L‘educazione al lavoro, dove con lavoro si intende attività comandata più o meno retribuita, è uno dei pilastri dei sistemi sociali moderni.

Una società basata sullo sfruttamento del lavoro non può che erigere quest’ultimo a più alto valore morale.

È necessario instillare sin dalla più giovane età il principio secondo cui è attraverso il lavoro che si guadagna non solo la pagnotta ma il proprio posto nel consesso sociale, e poco conta di che lavoro si tratti, di quali che siano le sue finalità. Il consenso al concetto di lavoro come attività disciplinata, è una condizione imprescindibile per garantire la stabilità delle società basate sullo sfruttamento.

Da qui l’elogio dell’uomo/donna operosi, la carriera come viatico del miglioramento della posizione sociale. La cicala canterina è destinata a morire nell’inverno freddo a differenza dell’industriosa formica.

Nei momenti di crisi, quando la disoccupazione è molta e i lavori sembrano pochi, è più difficile sostenere le virtù del lavoro senza rischiare di seminare un senso di frustrazione generale, i cui esiti potrebbero essere i più inaspettati e pericolosi per la pace sociale.

Non vi è altra via che intervenire per rinsaldare il sentimento di affezione al lavoro in chi, disoccupato, lavoro non ne può trovare, perché non ce ne è.

Nello scritto di Mattick che segue si descrive l’intervento in tal senso dell’amministrazione americana come risposta alla enorme quantità di inoccupati / inoccupabili figli della grande crisi del 1929. A noi chiederci il senso di tutte le attività lavorative gratuite proposte / imposte oggi a giovani e meno giovani, dai tirocinii, al volontariato di expo, dall’alternanza scuola lavoro, al lavoro gratuito degli immigrati…

~~~ * ~~~

Come tutti i buoni americani, Roosevelt odiava il dole inglese, cioè il sussidio in denaro ai disoccupati nel quale era degenerato un sistema limitato di assicurazione contro la disoccupazione. Un passaggio inevitabile dall’assistenza al sussidio in denaro minacciava di introdurre il dole anche in America. Questa situazione, psicologicamente distruttiva, poteva essere impedita legando il sussidio al lavoro: da tale collegamento fu caratterizzato l’intero piano del New Deal in favore della disoccupazione. La prima Civil Work Administration (CWA) inventò lavoro “in nome del lavoro” per dare ai lavoratori un esercizio e un addestramento regolari che permettessero loro di essere in buone condizioni quando il mondo degli affari ne avesse avuto nuovamente bisogno. “Il fatto che un gran numero di cittadini si stia disabituando al lavoro”, si diceva, “e l’impossibilità di abituarvi i giovani, è fonte di massima sollecitudine nei responsabili della politica sociale. Si deve ristabilire l’antica riprovazione contro l’infingardaggine, quella riprovazione che aiutò il Paese a raggiungere il suo sviluppo, fino a quando un’offerta crescente di lavoro non possa essere accolta da tutti con entusiasmo”  [E.E. Calkins, The Will to Recovery, in “Current History”, agosto 1935, p. 454].

I giovani, in particolare, dovevano essere sottratti all’influenza distruttiva della combinazione di ozio e desiderio. A tal fine, i Civil Conservation Corps (CCC) cominciarono a collocare i giovani dai 18 ai 25 anni in campi di lavoro e ad assumerli in cambio di alloggio, e pochi spiccioli per piantare alberi, per costruire strade secondarie, strade ferrate, e dighe, e per frenare l’erosione del suolo. Sebbene la forma di assistenza dei CCC fosse la più costosa, essa era la sola che trovasse la generale approvazione, poiché, come affermò il direttore dell’operazione, R. Fechner, “i 2.300.000 giovani addestrati nei campi CCC, fin dall’inizio, nel marzo 1933, erano preparati per circa l’85 per cento alla vita militare e avrebbero potuto essere immediatamente trasformati in combattenti di prima classe”  [“The New York Times”, 2 gennaio 1938].

La produzione indotta dal governo divenne produzione di armamenti: negli Stati Uniti essa assunse la forma di un ampio programma navale. Lo scoppio del conflitto mutò l’America in “arsenale della democrazia”, ma la sua entrata in guerra le fece superare la crisi e raggiungere lo scopo della piena occupazione. La morte, la più importante di tutti i seguaci di Keynes, regolava il mondo ancora una volta.

[Paul Mattick, La grande crisi e il New Deal, in R. Drinnon, R.C. Edwards, D. Green, P. Mattick et al., Due secoli di capitalismo USA, a cura di Nico Perrone, Dedalo, Bari, 1980, pp. 215-260 [il testo intero è in “ Paul Mattick Archivio” (http://paulmattickarchivio.blogspot.it/) e sul sito di “Connessioni” (https://issuu.com/connessioni/docs/newdeal).]

febbraio 2017

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En rachachant

 

Non tornerò più a scuola…”

“Perché?”

Perché a scuola mi insegnano cose che non so.”

“Ma guarda!”

 

piccolo, sei anni, porta gli occhiali, va detto che è uno che non fa baccano

“No, non conosco Ernesto”

nessuno lo conosce

“Portatelo qui… Siete voi Ernesto?”

Esatto!”

“In effetti, in effetti, non vi riconosco.”

Io vi riconosco.”

“Vi rendete conto del tipo che è…”

“Dunque rifiutiamo di andare a scuola, bambino Ernesto?”

Esatto!”

“E perché?”

Perché dura a lungo, molto a lungo.”

“La scuola è obbligatoria.”

Non dappertutto”

“Siamo qui! noi siamo qui! Qui siamo qui! qui, non dappertutto.”

Si!”

“E lui allora, chi è lui?”

Un uomo.”

“E questo? Almeno questo, dicci cos’è, Ernestino.”

Un crimine!”

“E questo è un pallone, una patata …”

È un pallone, una patata e la terra.”

“Un cretino, ecco cosa diventerà.”

No, non preoccuparti.”

“Ma, quanto meno, è questo che sembra.”

No, per niente.”

“Credi?”

Sicuro!”

“È strano…”

“Cosa succederà? Sette, ne abbiamo sette…”

“Un caso unico… È sempre così. Dunque ci troviamo di fronte a un bambino che non vuole apprendere che ciò che sa già.”

“Esatto.”

“Io ne ho sette, ne ho abbastanza…”

“E come, come… come pensa di fare il bambino Ernesto… ad apprendere quello che ancora non sa?”

“ecco, ma è vero!”

Ra-châ-chant.”

“Cos’è?”

Un nuovo metodo.”

“Insolente!”

“Non capisco.”

“Ho perso il filo.”

“E cosa sa il bambino Ernesto?”

“Niente, basta guardarlo.”

“Del resto è quasi cieco.”

“Mi sembra di averti fatto una domanda, cosa sapete voi, bambino Ernesto?”

Io so…”

“Non lo toccate o vi colpisco.”

“D’accordo.”

“E perché il bambino Ernesto si rifiuta di apprendere ciò che non sa? Perché?”

“Rispondi, Ernesto, se hai capito. Perché?”

Perché non vale la pena di apprendere!”

“In fondo… in fondo, in fondo…”

“Allora come saprà leggere, il bambino Ernesto, e scrivere, contare, in questo modo? Eh?”

Imparerò.”

“E come?”

I-ne-vi-ta-bil-men-te.”

“Fate attenzione alle vostre parole o mi farete arrabbiare, bambino Ernesto.”

Non mi fate paura, calmatevi! Torno a casa.”

“Allora, allora… ora che è andato, che ne pensate?”

“Un caso imprevisto.”

“Ma a parte questo?”

“Cosa faremo…”

“È vero che un giorno saprà leggere? Leggere e sommare? Mangiare bere, lavorare lavorare… saprà sbagliare e tutto il resto?.”

“Sfortunatamente sì.”

Da Daniele Huillet & Jean-Marie Straub – En rachachant (1982). Adattamento di “Ah, Ernesto” di Marguerite Duras, 1971.

 

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Il Franti, lo studente Nobis e «l’invalsi»

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 Nobis: “Ciao Franti, hai visto? Questa volta ti hanno proprio fregato”. (sorride)

Franti: “Non mi stupisce, e di che si tratta in questo caso?”.

“Dell’«invalsi»”.

Cosa intendi con «l’invalsi», Nobis, sembri un prete in un bordello, bisogna tirarti fuori le parole una per una”.

“L’han messo alla maturità”.

“Ma no…”.

“Beh non esattamente, ma è diventato requisito per l’esame della maturità, se ti rifiuti di svolgerlo (come vi è capitato di fare a voi) son cazzi”.

“Ma il test non è anonimo?”.

“Non ho detto che fa media, che sanno come l’hai fatto, ma che è un requisito, lo devi svolgere e quando ti dicono di farlo ci devi essere”.

“Se è per questo noi l’anno scorso l’abbiamo fatto, tutti, e ci siamo divertiti un mondo. Abbiamo messo delle risposte che erano dei botti di genio alla stupidità delle domande”.

“Bravo, se fai così ti sporcherai il portfolio”.

“Porto-che? Nobis, sembri un prete lituano in un bordello bergamasco, ma ti vuoi far capire per favore?”.

(sorride di nuovo) “Certo, tu Franti, io Nobis, Garrone e gli altri, avremo un portfolio che riporta ciò che abbiamo fatto o non fatto a scuola e poi anche al lavoro, che c’è continuità tra le due cose, una sorta di fedina penale per la vita civile. L’esito del test invalsi sarà scritto sul portfolio, il tuo sul tuo – il mio sul mio, e scommetto che non saranno uguali”.

“Ma l’invalsi non era anonimo?”.

“Sei disinformato, Franti, disinformato e credulone. Mi sa che quelli come te si divertiranno pochino”.

“ma vaffanculo anche tu…”

febbraio 2017

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Il Franti, lo studente De Rossi e l’alternanza scuola/lavoro

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 De Rossi: (si rivolge con aria sbruffona al Franti che sta passando) “Ehi Franti, hai visto che metteranno l’orale di «alternanza scuola lavoro» alla maturità?”.

Franti: “ma fammi ridere …”.

“Franti, allora non sei informato, non hai letto il decreto attuativo…”.

(stizzito) “a noi, che stiamo in fondo alla classe, le notizie arrivano un po’ dopo, è vero, e in generale non ci interessano molto; però questa cosa dell’«alternanza scuola lavoro» la sapevo. È la bella scuola di Renzi”.

Buona!, si dice buona, che è diverso da bella. Buona nel senso che fa bene non che fa piacere. E poi questo è Gentiloni e non Renzi…”.

(alzando la voce) “… che è sempre un suo amico no? Ma come cazzo fanno a fare un orale sull’alternanza scuola lavoro?

E se uno poi dice che non ha fatto nulla, che ha passato duecento ore come un pirla in una copisteria a guardarsi attorno?
E se uno riferisce che ha partecipato ad un’orrida messinscena organizzata dalla sua scuola?
E se uno racconta che lui e i suoi compagni hanno sostituito del personale, che altrimenti sarebbe stato retribuito, per tenere aperta una fiera del libro… e che si ritiene vigliaccamente sfruttato anzi schiavizzato visto che si trattava di lavoro-coatto-non retribuito?
Se uno sostiene una cosa così che fanno, lo bocciano?

“Beh certo se uno dice delle cose così una bella figura non ce la fa”.

“Mentre se uno invece dichiara che è andato in una officina e ha sbullonato come un porco aggratis come vorrebbe poter fare per tutta la vita, così invece ci fa una bella figura?”.

“Ecco Franti, ecco perché si chiama buona scuola e non bella, vedo che inizi a capire”.

(facendo un gesto con la mano) “ma vaffanculo”.

febbraio 2017

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Il maestro Perboni, la maestrina dalla penna rossa e il bonus della buona scuola

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Perboni: “Buongiorno signorina maestra”

Maestrina: “Buongiorno a lei professor Perboni”

“Bella giornata, non è vero?”

“Bellissima, non c’è che dire. Lei per caso sa, professore, che la settimana passata sono stati assegnati i bonus della bella scuola?”

Buona, signorina maestra, si dice buona scuola, non bella.”

“Oh certo, professore, mi confondo sempre. E per caso lei sa anche a chi sono stati assegnati questi bonus?”.

“Ma certo che no, signorina maestra, difatti è segreto!”

(timidamente) “è … segreto?”.

“Logico, per la privacy”

“Ma come, per la privacy, ma che dice?”

“Certo, non vorrà mica che si sappia in giro il nome di chi ha preso il premio!”

“E come facciamo noi a ‘prendere ispirazione’ dai migliori se non sappiamo neanche chi sono?”

“Che c’entra, l’importante è tendere costantemente al meglio. Al momento opportuno il Signore saprà chi premiare”

“Il Signore?…”

“Il signor Dirigente, mi scusi, sbaglio sempre”

(guarda in cielo e sospira) “… a me non l’han dato …”

“Shhh, non si faccia sentire!, è segreto le dico se-gre-to. Poi, certo che non gliel’hanno dato, lei mica l’ha chiesto.”

(nervosetta) “Ah, bisogna anche chiederlo il premio? Cioè bisogna andare dal Signore, come dice lei, e dirgli «guardi Signore io sono molto brava, la prego mi dia il premio» che poi Lui decide se si o se no?”

“Più o meno è così”.

(sorride) “Certo che lei ha proprio delle gran belle scarpe nuove professor Perboni, chissà quanto le sono costate…”

“Non mi faccia arrossire… Sembra si stia rannuvolando, non le pare?”

febbraio 2017

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