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Perché noi-Franti scioperiamo l’otto Marzo

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Noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché è uno sciopero inutile: non ha un interlocutore istituzionale, degli obiettivi specifici, una piattaforma rivendicativa. È puro dispendio di libera energia, di tempo perduto al lavoro, per questo a noi pare così prezioso.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché contro la miriade di scioperi istituzionali che rivendicano qualche briciola al Padre-Padrone-Stato, per stare comunque sotto il Padre-Padrone-Stato, qui non si rivendica niente (o forse tutto, che in fondo è la stessa cosa) comunque niente ad altri se non a noi stessi. Vogliamo essere solo molto esigenti con noi stessi.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché possiamo riscoprire lo sciopero nella sua essenza più propria, lo sciopero come allusione alla fine del lavoro, alla fine dei rapporti subordinati, alla fine del tempo imposto da altri, alla fine dei padroni. Scioperiamo perché immaginiamo la possibilità di uno sciopero infinito e lo sciopero è una finestra gioiosa in una strada irta di rogne.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché amiamo la rabbiosa caparbietà delle piazze in fiamme, delle collettività in rivolta, dei tumulti che si aprono al divenire.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché è bello stare in piazza quando in piazza si sta come singolarità e non come individui, come corpi danzanti che cercano la carezza di altri corpi che si muovono. Un po’ più come fluidi, un po’ meno come solidi, un po’ più come femmine un po’ meno come maschi.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché ci scopriamo giorno per giorno un po’ donne un po’ trans, un po’ gay, un po’ lesbiche e, perché no, anche un po’ maschi. E perché contro una società che ci vuole tutti normali a noi piace il colore/calore della diversità.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché odiamo la polizia comunque essa si travesta: da padre, da padrone, da celerino, da professore, ma sappiamo bene che l’odio è solo il limite a cui il nemico costringe la nostra voglia d’amore e non ce ne faremo travolgere.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché riconosciamo nei migranti l’altra faccia di noi stessi. Perché tutti proveniamo da qualche lontananza e tutti desideriamo una qualche vicinanza che ci faccia trovare una casa provvisoria per poi riprendere, forse, un altro viaggio.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché diventare minoranza, sottrarci alla tirannia della maggioranza, inventare un numero all’infinito di minoranze è la nostra più intima vocazione.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché un tempo lontano una parte di noi ha sognato di sognare e non si è ancora destata e un’altra parte prova a ripetere quel sogno.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché frequentiamo la scuola e sappiamo che tra quelle mura si coltivano passioni tristi: lavoro, dovere, carriera, concorrenza, gerarchia, futuro invece a noi piace l’infinita presenza, il piacere dei sensi, la bellezza dell’autonomia, l’opera inutile.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché come Antigone abbiamo capito l’intimo legame tra potere patriarcale e potere statale e li vogliamo distruggere entrambi.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché abbiamo a cuore il sapere come elaborazione collettiva e condivisa e non come privilegio e potere.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché conosciamo l’importanza della menzogna e la vergognosa ipocrisia del controllo globale. Perché viviamo di verità e non di confessioni, perché sappiamo che il conflitto esiste, e che non è una questione di ordine pubblico.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo ma in questo modo sciopereremmo anche il nove, il sette o il diciassette perché i simboli ci fanno venire l’orticaria.

noi-Franti scioperiamo l’otto marzo perché vorremmo smettere di essere Franti e dedicarci compiutamente a coltivare i nostri sogni spesso solo sussurrati.

noi-Franti
febbraio 17

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Il Franti, lo studente De Rossi ed il bonus della buona scuola

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Franti: “Ho captato una conversazione tra Preside e insegnanti, ma cos’è sto bonus?”.

De Rossi: “Una buona scuola deve avere un bonus da dare ai buoni, anche tra gli insegnanti ci sono i cattivi e i buoni e questi ultimi meritano una manciata di soldi in più”.

“Davvero? Ascolta quello che ho sentito:”

“Insegnante: Preside, cortesemente potrebbe dirmi i nomi dei colleghi che hanno meritato il bonus quest’anno?

Preside: Come osa farmi questa domanda?

Insegnante: Ma veramente… vorrei sapere i nomi dei colleghi per emularli; come dice un suo collega Dirigente Scolastico su Orizzonte scuola, il bonus ai docenti ha creato sana emulazione.

Preside: Se insiste con questa provocazione rischia una sanzione disciplinare!

RSU: Preside, vorremmo sapere i nomi dei colleghi che hanno meritato il bonus.

Preside: Fate richiesta scritta.

Dopo qualche tempo:

RSU: Preside, ha ricevuto la nostra richiesta scritta? Non ha ancora risposto. Gliela leggiamo a voce “Egregio Signor Preside, in qualità di RSU, a nome dei lavoratori di questa scuola, chiediamo che vengano resi noti i nomi dei colleghi che hanno meritato il bonus

Preside: Ho letto, ho letto. Purtroppo non posso dare seguito alla vostra richiesta, io non vedo, non sento, non parlo, c’è la privacy.

RSU: Preside, scusi, lasciamo perdere i nomi, possiamo immaginarceli, ponendo i nomi dei colleghi come X,Y,Z potrebbe dirci almeno quanti euro sono andati a X, quanti a Y, quanti a Z?

Preside: L’ho già detto, c’è la privacy, io non vedo, non sento, non parlo”.

“Franti, forse è meglio che non vai troppo in giro a raccontare questa storiella, non vorrei ne venissero delle rogne anche a te”.

“ma vafff…”

febbraio 2017

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Civil Conservation Corps (CCC)

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 L‘educazione al lavoro, dove con lavoro si intende attività comandata più o meno retribuita, è uno dei pilastri dei sistemi sociali moderni.

Una società basata sullo sfruttamento del lavoro non può che erigere quest’ultimo a più alto valore morale.

È necessario instillare sin dalla più giovane età il principio secondo cui è attraverso il lavoro che si guadagna non solo la pagnotta ma il proprio posto nel consesso sociale, e poco conta di che lavoro si tratti, di quali che siano le sue finalità. Il consenso al concetto di lavoro come attività disciplinata, è una condizione imprescindibile per garantire la stabilità delle società basate sullo sfruttamento.

Da qui l’elogio dell’uomo/donna operosi, la carriera come viatico del miglioramento della posizione sociale. La cicala canterina è destinata a morire nell’inverno freddo a differenza dell’industriosa formica.

Nei momenti di crisi, quando la disoccupazione è molta e i lavori sembrano pochi, è più difficile sostenere le virtù del lavoro senza rischiare di seminare un senso di frustrazione generale, i cui esiti potrebbero essere i più inaspettati e pericolosi per la pace sociale.

Non vi è altra via che intervenire per rinsaldare il sentimento di affezione al lavoro in chi, disoccupato, lavoro non ne può trovare, perché non ce ne è.

Nello scritto di Mattick che segue si descrive l’intervento in tal senso dell’amministrazione americana come risposta alla enorme quantità di inoccupati / inoccupabili figli della grande crisi del 1929. A noi chiederci il senso di tutte le attività lavorative gratuite proposte / imposte oggi a giovani e meno giovani, dai tirocinii, al volontariato di expo, dall’alternanza scuola lavoro, al lavoro gratuito degli immigrati…

~~~ * ~~~

Come tutti i buoni americani, Roosevelt odiava il dole inglese, cioè il sussidio in denaro ai disoccupati nel quale era degenerato un sistema limitato di assicurazione contro la disoccupazione. Un passaggio inevitabile dall’assistenza al sussidio in denaro minacciava di introdurre il dole anche in America. Questa situazione, psicologicamente distruttiva, poteva essere impedita legando il sussidio al lavoro: da tale collegamento fu caratterizzato l’intero piano del New Deal in favore della disoccupazione. La prima Civil Work Administration (CWA) inventò lavoro “in nome del lavoro” per dare ai lavoratori un esercizio e un addestramento regolari che permettessero loro di essere in buone condizioni quando il mondo degli affari ne avesse avuto nuovamente bisogno. “Il fatto che un gran numero di cittadini si stia disabituando al lavoro”, si diceva, “e l’impossibilità di abituarvi i giovani, è fonte di massima sollecitudine nei responsabili della politica sociale. Si deve ristabilire l’antica riprovazione contro l’infingardaggine, quella riprovazione che aiutò il Paese a raggiungere il suo sviluppo, fino a quando un’offerta crescente di lavoro non possa essere accolta da tutti con entusiasmo”  [E.E. Calkins, The Will to Recovery, in “Current History”, agosto 1935, p. 454].

I giovani, in particolare, dovevano essere sottratti all’influenza distruttiva della combinazione di ozio e desiderio. A tal fine, i Civil Conservation Corps (CCC) cominciarono a collocare i giovani dai 18 ai 25 anni in campi di lavoro e ad assumerli in cambio di alloggio, e pochi spiccioli per piantare alberi, per costruire strade secondarie, strade ferrate, e dighe, e per frenare l’erosione del suolo. Sebbene la forma di assistenza dei CCC fosse la più costosa, essa era la sola che trovasse la generale approvazione, poiché, come affermò il direttore dell’operazione, R. Fechner, “i 2.300.000 giovani addestrati nei campi CCC, fin dall’inizio, nel marzo 1933, erano preparati per circa l’85 per cento alla vita militare e avrebbero potuto essere immediatamente trasformati in combattenti di prima classe”  [“The New York Times”, 2 gennaio 1938].

La produzione indotta dal governo divenne produzione di armamenti: negli Stati Uniti essa assunse la forma di un ampio programma navale. Lo scoppio del conflitto mutò l’America in “arsenale della democrazia”, ma la sua entrata in guerra le fece superare la crisi e raggiungere lo scopo della piena occupazione. La morte, la più importante di tutti i seguaci di Keynes, regolava il mondo ancora una volta.

[Paul Mattick, La grande crisi e il New Deal, in R. Drinnon, R.C. Edwards, D. Green, P. Mattick et al., Due secoli di capitalismo USA, a cura di Nico Perrone, Dedalo, Bari, 1980, pp. 215-260 [il testo intero è in “ Paul Mattick Archivio” (http://paulmattickarchivio.blogspot.it/) e sul sito di “Connessioni” (https://issuu.com/connessioni/docs/newdeal).]

febbraio 2017

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Il Franti, lo studente Nobis e «l’invalsi»

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 Nobis: “Ciao Franti, hai visto? Questa volta ti hanno proprio fregato”. (sorride)

Franti: “Non mi stupisce, e di che si tratta in questo caso?”.

“Dell’«invalsi»”.

Cosa intendi con «l’invalsi», Nobis, sembri un prete in un bordello, bisogna tirarti fuori le parole una per una”.

“L’han messo alla maturità”.

“Ma no…”.

“Beh non esattamente, ma è diventato requisito per l’esame della maturità, se ti rifiuti di svolgerlo (come vi è capitato di fare a voi) son cazzi”.

“Ma il test non è anonimo?”.

“Non ho detto che fa media, che sanno come l’hai fatto, ma che è un requisito, lo devi svolgere e quando ti dicono di farlo ci devi essere”.

“Se è per questo noi l’anno scorso l’abbiamo fatto, tutti, e ci siamo divertiti un mondo. Abbiamo messo delle risposte che erano dei botti di genio alla stupidità delle domande”.

“Bravo, se fai così ti sporcherai il portfolio”.

“Porto-che? Nobis, sembri un prete lituano in un bordello bergamasco, ma ti vuoi far capire per favore?”.

(sorride di nuovo) “Certo, tu Franti, io Nobis, Garrone e gli altri, avremo un portfolio che riporta ciò che abbiamo fatto o non fatto a scuola e poi anche al lavoro, che c’è continuità tra le due cose, una sorta di fedina penale per la vita civile. L’esito del test invalsi sarà scritto sul portfolio, il tuo sul tuo – il mio sul mio, e scommetto che non saranno uguali”.

“Ma l’invalsi non era anonimo?”.

“Sei disinformato, Franti, disinformato e credulone. Mi sa che quelli come te si divertiranno pochino”.

“ma vaffanculo anche tu…”

febbraio 2017

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Il Franti, lo studente De Rossi e l’alternanza scuola/lavoro

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 De Rossi: (si rivolge con aria sbruffona al Franti che sta passando) “Ehi Franti, hai visto che metteranno l’orale di «alternanza scuola lavoro» alla maturità?”.

Franti: “ma fammi ridere …”.

“Franti, allora non sei informato, non hai letto il decreto attuativo…”.

(stizzito) “a noi, che stiamo in fondo alla classe, le notizie arrivano un po’ dopo, è vero, e in generale non ci interessano molto; però questa cosa dell’«alternanza scuola lavoro» la sapevo. È la bella scuola di Renzi”.

Buona!, si dice buona, che è diverso da bella. Buona nel senso che fa bene non che fa piacere. E poi questo è Gentiloni e non Renzi…”.

(alzando la voce) “… che è sempre un suo amico no? Ma come cazzo fanno a fare un orale sull’alternanza scuola lavoro?

E se uno poi dice che non ha fatto nulla, che ha passato duecento ore come un pirla in una copisteria a guardarsi attorno?
E se uno riferisce che ha partecipato ad un’orrida messinscena organizzata dalla sua scuola?
E se uno racconta che lui e i suoi compagni hanno sostituito del personale, che altrimenti sarebbe stato retribuito, per tenere aperta una fiera del libro… e che si ritiene vigliaccamente sfruttato anzi schiavizzato visto che si trattava di lavoro-coatto-non retribuito?
Se uno sostiene una cosa così che fanno, lo bocciano?

“Beh certo se uno dice delle cose così una bella figura non ce la fa”.

“Mentre se uno invece dichiara che è andato in una officina e ha sbullonato come un porco aggratis come vorrebbe poter fare per tutta la vita, così invece ci fa una bella figura?”.

“Ecco Franti, ecco perché si chiama buona scuola e non bella, vedo che inizi a capire”.

(facendo un gesto con la mano) “ma vaffanculo”.

febbraio 2017

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Il maestro Perboni, la maestrina dalla penna rossa e il bonus della buona scuola

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Perboni: “Buongiorno signorina maestra”

Maestrina: “Buongiorno a lei professor Perboni”

“Bella giornata, non è vero?”

“Bellissima, non c’è che dire. Lei per caso sa, professore, che la settimana passata sono stati assegnati i bonus della bella scuola?”

Buona, signorina maestra, si dice buona scuola, non bella.”

“Oh certo, professore, mi confondo sempre. E per caso lei sa anche a chi sono stati assegnati questi bonus?”.

“Ma certo che no, signorina maestra, difatti è segreto!”

(timidamente) “è … segreto?”.

“Logico, per la privacy”

“Ma come, per la privacy, ma che dice?”

“Certo, non vorrà mica che si sappia in giro il nome di chi ha preso il premio!”

“E come facciamo noi a ‘prendere ispirazione’ dai migliori se non sappiamo neanche chi sono?”

“Che c’entra, l’importante è tendere costantemente al meglio. Al momento opportuno il Signore saprà chi premiare”

“Il Signore?…”

“Il signor Dirigente, mi scusi, sbaglio sempre”

(guarda in cielo e sospira) “… a me non l’han dato …”

“Shhh, non si faccia sentire!, è segreto le dico se-gre-to. Poi, certo che non gliel’hanno dato, lei mica l’ha chiesto.”

(nervosetta) “Ah, bisogna anche chiederlo il premio? Cioè bisogna andare dal Signore, come dice lei, e dirgli «guardi Signore io sono molto brava, la prego mi dia il premio» che poi Lui decide se si o se no?”

“Più o meno è così”.

(sorride) “Certo che lei ha proprio delle gran belle scarpe nuove professor Perboni, chissà quanto le sono costate…”

“Non mi faccia arrossire… Sembra si stia rannuvolando, non le pare?”

febbraio 2017

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Corrono

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Corrono. Venti/trentenni quadricipiti torniti, agili spingono il pedale, lesti alla svolta, attenti a cogliere l’attimo del sorpasso, del vuoto che si crea nel traffico cittadino, per infilarvisi.
Par di vedere quei ciclisti newyorkesi, capaci di mirabolanti performances sul loro mezzo, decisamente il più veloce nella jungla d’asfalto. Taluno si dota d’un motorino, ma occorre pur sempre metter miscela e, poi, fare i conti della giornata.

Corrono, corrono a soddisfare l’appetito della città frettolosa. Un click su un’app li mette in moto verso fornitori e destinatari.

Foodora, Just-it, Deliveroo, sono attualmente le agenzie che gestiscono questo traffico moderno. Non forniscono i classici strumenti contrattuali d’un tempo; tutto è più veloce, moderno appunto, e lo stesso click è sufficiente ad escludere, a ‘licenziare’, si sarebbe detto allora, senza fastidiose conseguenze.
È la filosofia del tempo, quella del lavoro precario e flessibile, del jobs act, quella del lavoro gratuito di Expo o dell’alternanza scuola-lavoro della ‘buona-scuola’. La filosofia che mira a farti sentire il ‘valore’ del lavoro, a fartelo vivere come una fortuna, non come una condanna, quale è. La battaglia che conduce questo moderno padronato non è solo sulle nuove condizioni di lavoro, è soprattutto sul ‘valore’ da attribuire al lavoro.

A Torino si trovano, si conoscono e ri-conoscono, e, nonostante la minaccia dell’esclusione dalla app, danno inizio ad un percorso collettivo di rivendicazione dei più elementari diritti: salario, contratto che garantisca ferie e malattia, tutele dalle rappresaglie dell’azienda…

Stupiti (quasi) nel raccontare le miserabili condizioni che li fanno sfrecciare per la città, si devono persino giustificare per averlo scelto, quel lavoro, e dopo averlo scelto di averlo trovato stretto. Si scopre (di nuovo) che non vi sia nulla di strano nel definire sfruttamento un rapporto di lavoro, che sarebbe tale anche in presenza di un contratto a tempo indeterminato. Perché mai il padrone si avvarrebbe dei loro servigi se non per sfruttarli e ricavarci profitto, ricchezza? E che c’è da stupirsi di chi ‘sceglie’ un lavoro da sfruttato? E’ un’opzione possibile questa? O l’unica possibilità?

E tuttavia il gruppo cresce, scopre la forma dell’autorganizzazione, rompe il silenzio, viola l’assunto che la parcellizzazione del lavoro impedisca le azioni collettive, si fa catalizzatore di movimento ed attenzioni. Da Torino si muove a Milano, gli occhi guardano la Germania, la sede centrale. Anche là il trattamento è dello stesso tipo, è la globalizzazione.

Stupiti (forse), ma per nulla inconsapevoli, chiedono l’impossibile: “un contratto nazionale”. Nel mondo della precarietà e della servitù volontaria questa richiesta si legge come una provocazione.
Ma come, non siamo per le trattative individuali? La differenziazione su piccola scala? Già a Milano i loro colleghi prendono un po’ di più, e forse anche tra loro ci sono scale di diversificazione più fini.

Hanno saputo radicarsi, raggiungere una certa ‘massa critica’ e la giocano nel rapporto di forze. Devono fare in fretta, e chi li guarda dovrà fare in fretta a prendere l’esempio prima che qualcuno trovi l’antidoto o li faccia tacere.

Alcune professioni si basano sul profitto che si ricava dal lavoro degli altri. Il politico, il giudice, il sindacalista a tempo pieno(1)…. Da questi dovranno guardarsi con cura, usarli se serve, senza rinunce del proprio vissuto autorganizzato e mantenendo la loro autonomia progettuale. Gli diranno che non si può, che non si fa così, che è incompatibile e avranno ragione, l’incompatibile è (per ora) la loro meta.

Così come gli studenti, che si son rotti del teatrino della protesta mediata, dell’occupazione concordata, che sanno che quel che li aspetta da grandi sarà di inforcare un biciclo per fiondarsi nella città trasportando cibo o oggetti di varia natura, e che sanno che quel che potranno scegliere allora sarà se farlo per un soldo di cacio o per operare una rivoluzionaria trasformazione, sarà bene che prendano esempio, si conoscano e ri-conoscano sin da ora. Chissà mai che non insegnino qualcosa loro a quei maestri spesso già stanchi prima ancora di incominciare.

 

(1) D’altre professioni, quali il manager e il poliziotto, sarebbe meglio facessero a meno.

Franti ottobre 2016

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Franti va in gita

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Ciao Franti, non c’eri l’altro giorno alla gita

si, c’ero

Ma dov’eri? Tu di solito non stai in testa?

la testa ce l’ho sul collo, casomai è lei che ‘sta’ con me (o io con lei? Si dice “io e la mia testa” o “io e il mio corpo”? ci devo pensare)

No, dico, all’inizio della fila

coi prof? Ma scherzi?

Davanti ci stanno i Prof

ci stanno i prof e si fanno vedere, e decidono dove andare, non c’ho sbatti di star la. È una vita che sono all’ultimo banco e ora mi vuoi in cima alla fila con i prof

E’ sempre così, anche nelle processioni, prima passa il sacerdote e poi i fedeli

dimmi, che avevi oggi?

Mercoledì, matematica, scienze, due ore di educazione fisica, italiano

ecco, ci son dei paesi in cui il mercoledì neanche ci vanno a scuola, ci sono dei paesi dove non sempre i prof vanno in gita o se ci vanno non stanno in cima e non scelgono la strada. Che sia sempre così non significa che non possa essere altrimenti

da noi fanno sempre così…

quando andiamo in montagna, li sì mi piace stare davanti, come a chiunque d’altronde, ti guardi attorno, decidi dove andare, pensa che bello una gita tutti in montagna, tutti “in testa”, come dici tu. sono i prof che stanno indietro, gli viene il fiatone (ridacchia)

E allora, tu con quella tua risatina stupida, dov’eri?

dove?

ma alla gita…

dietro, molto dietro, neanche all’ultimo banco, fai te: nello sgabuzzino!

Nello sgabuzzino? Ma va la

davvero, mi ci han messo dei tuoi compagni, per protezione. Quelli al servizio dell’ordine

E che c’entra l’ordine?

dice che si impara più con l’imitazione che per la lezione, e che se uno vede l’ordine diventerà ordinato altrimenti no, il resto importa poco, così loro mostrano l’ordine. Ah ah ah, dev’essere che dal fondo della classe pare tutto molto incasinato perché non ho mai imparato niente

E nello sgabuzzino com’era?

se per questo era disordinatissimo anche lì, ma quello poco importa, non si vede. Ciò che si vede nuoce, ciò che non si vede giace.

Ora fai pure il poeta. Quindi non hai visto niente della gita

ma che dici, ho visto, ho visto

che puoi aver visto da quello sgabuzzino

ho visto il Reuccio Cuor di Leone

Che dici? Cuor di Leone? E chi è?

Si, colui che a Genova salvò i bianchi crociati deviando le ire del nemico contro il popolo ignaro

Non lo conosco, forse non l’abbiamo fatto in storia, e poi?

e poi gli uomini blu che ridono con i baffi, gli uomini granchio che camminano all’incontrario fino a sfinirsi, qualche giro di rugby senza palla, e molte, diverse, parole che cozzavano le une contro le altre

Mi pare l’incubo di Alice nelle Meraviglie, mi sa che sei un po’ andato

si, a un certo punto me ne sono proprio andato

Franti, fattelo dire, mi stai prendendo in giro, vai a cagare

si, ora vado, ma perché, tu non caghi mai?

Franti 12 10 2016

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Franti non va in cortile

sghignazzo
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No Franti, oggi non uscite in cortile

e perché?

Perché fate sempre casino

ma il cortile è di tutti e c’è l’intervallo

Il cortile è di tutti ma per evitare problemi l’abbiamo diviso in spezzoni, ogni classe deve stare nel suo spazio

avremmo voluto parlare con gli altri, confrontarci, dire che esistiamo, poi là c’è una tipa che mi piace…

Inutile che te lo dica, Franti, parli male, hai un sacco di insufficienze, ridi troppo e lasci un sacco di cartacce in giro, lo dice anche la Preside

ma non eravamo d’accordo che il cancello della scuola dovesse restare aperto, che fosse libero il passaggio?

Qui non è un problema di cancello che, come vedi, è aperto, ma di divisione dello spazio. Che si possa entrare non significa che ci si debba mescolare. E così lo spazio per voi non c’è

la campanella …

L’ho sentita, forza voi che siete fuori, rientriamo in classe.

7 10 2016 oredodici

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Dialogo tra Franti, un precario e uno studente della seconda fila

bastapaz

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Basta con la scuola… ma anche no, ci si incontra un sacco di gente, si sta insieme, qualcosa di interessante da ascoltare ogni tanto capita…. certo meglio che andare in fonderia… ma chi ci va più in fonderia? Già, ma dove vanno poi tutti?

Basta con la scuola… ma è il mio lavoro, e io non sputo nel piatto in cui mangio. I ragazzi mi piacciono anche se non gliene frega niente di me. A nessuno frega niente di me, e se non me la cavo io, con la classe, nessuno ci pensa. Dice che dobbiamo insegnare, e io lo faccio, anche bene. Il più delle volte sono loro che non vogliono capire…

Queste cose le ho sentite mille volte ma me ne frego, sono cent’anni che sto all’ultimo banco e me ne frego. Litigano tra di loro, si sfogano, soffrono, crescono e diventano vecchi
Paz è forte, lui l’aveva capito che il ciuco ne esce imbestialito ed affamato. Non gli restano che la bomba o lo sballo. Cazzo!, non hanno pazienza, ma io sono cent’anni che sto all’ultimo banco e me ne frego
Per me è chiaro. Questa scuola qua, fatta così com’è fatta, svolge una funzione precisa nell’ingranaggio delle nostre vite. Resta la scuola del capitale, dei possidenti delle leve della ricchezza, contro la loro forza lavoro. Devono ‘sapere’ quanto serve ma non troppo di più, e soprattutto devono saper stare al loro posto. Cazzo, fanno le guerre per l’acqua e il petrolio, vuoi che si lascino sfuggire il controllo della conoscenza?
Questa scuola apparentemente e realmente schifosa non è ‘un mondo a parte’ ma è ben piazzata nel ‘giardino di casa’ del capitalismo avanzato

Franti, finiscila, sembri mio nonno

Ecco, l’ho conosciuto io ‘tuo nonno’. Me lo ricordo bene
Con lui ci si divertiva. Pensa che a quei tempi facevano quasi più casino gli insegnanti che gli studenti. Volevano cambiare tutto anche se non sapevano in che modo. Così si imparava moltissimo, altroché

Nostalgia?

Ma va, piuttosto noja e tristezza. Da qui in fondo alla classe si vedono delle cose che non si possono neanche raccontare
Dai banchi davanti non percepite niente? Non percepite l’odore delle ferite? Il rumore delle sirene? Non vedete le colonne di fumo?
Si direbbe di no…

Ora basta voi due, che siamo in ritardo con il Programma

e te pareva…

Franti 7.10.16

“Mentre il maestro dava a Garrone la brutta copia del Tamburino sardo, il racconto mensile di gennaio, da trascrivere, egli gittò sul pavimento un petardo che scoppiò facendo rintronar la scuola come una fucilata. Tutta la classe ebbe un riscossone. Il maestro balzò in piedi e gridò: – Franti! fuori di scuola! – Egli rispose: – Non son io! – Ma rideva. Il maestro ripeté: – Va’ fuori! –
Non mi muovo, – rispose”.

[Edmondo De Amicis, Cuore]

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