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Dove va Franti ?

Invio il testo dal titolo “Dove va Franti ?”che costituisce un contributo alla discussione all’interno del gruppo Franti. L’auspicio è che questa discussione possa avviare una riflessione sulle forme dello ‘ stare insieme’ e che possa coinvolgere un numero sempre più ampio di compagni a partire da coloro che , in un modo o nell’altro, hanno incrociato il nostro percorso. A questo proposito mi piace segnalare un testo che ho appena iniziato a sfogliare ma che mi pare si ponga sull’onda dei problemi sui quali da tempo ci interroghiamo.

Il testo così si conclude :

E vinceremo, qui e altrove. Vinceremo anche contro noi stessi. Contro ciò che, talvolta, fa di noi non molto di più che dei tristi amministratori dell’esistente. Vinceremo, , disputando a pietrate pezzi di territorio alla polizia , gettando lampi di luce negli occhi appannati della vita. Producendo il nostro cibo e mettendo in ginocchio un governo. Costituendo forze collettive e condividendo un pezzo di mondo con altri esiliati. Moltiplicando le comuni libere, generando le nostre culture e le nostre storie. Gli spazi in cui queste dieci, mille vittorie possono incontrarsi sono rare. Il notav e la zad sono tra questi. E ne ispirano altri. E’ questa la loro portata rivoluzionaria“.

Collettivo “mauvaise troupe”, Contrade. Storie di zad e notav, Tabor

Dove va Franti ?

“Il carattere distruttivo non vede niente di durevole. Ma proprio per questo vede dappertutto delle vie. Ma poiché vede dappertutto delle vie , deve anche dappertutto sgombrare la strada (…) Poichè dappertutto vede vie, egli sta sempre ad un incrocio. Nessun attimo può sapere ciò che il prossimo reca con sé. L’ esistente lui lo manda in rovina non per amore delle rovine, ma per la via che vi passa attraverso”
W. Benjamin

Franti, verso la metà del libro di De Amicis, sparisce dal racconto, non se ne farà più parola , le voci dicono “che non verrà più perché lo metteranno all’ergastolo”. A noi piace pensarlo invece alla ricerca di un’altra comunità possibile. Un po’ come altri personaggi della letteratura. Come quel Rosso Malpelo che, chissà, forse muore nella cava della rena rossa ma forse trova anche lui la strada per un’altra possibilità, un’ altra forma di vita, magari tra gli spettri che popolano i sotterranei della miniera. In questo sta la forza della letteratura, farci immaginare altri percorsi possibili. Per i personaggi che la popolano, Per noi che leggiamo.

Del resto Franti era incompatibile con l’istituzione, con qualsiasi tipo di istituzione e refrattario a qualsiasi disciplina imposta che l’istituzione, che qualsiasi istituzione, non può non presupporre.
Franti era strutturalmente ‘contro il metodo’, per riprendere un ben noto titolo di un libro di Fayerabend, perché la ricerca di ciò che non c’ è, ma desideriamo cercare, presuppone la massima libertà, anche quella di sbagliare, anche quella di tornare indietro, e questa ricerca può essere fatta senza presupposti stabili, senza regole a priori, senza un’ origine che predetermini il fondamento della nostra ricerca.

Un po’ come Franti mi pare debba essere Franti, o almeno così a me piace immaginarlo, alla continua ricerca di un’ altra comunità possibile. Una comunità che si forma attraverso la contaminazione, non uno stato di cose, non un’ istituzione. Una comunità sregolata che vive di attrazione, che si costruisce di volta in volta, senza presupposti, senza statuti, in definitiva senza stato.

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Diario di Franti/

Sabato 13 Gennaio 2018 @Zabriskie Point (Novara)

Beh, se sabato sera non siete a Novara potete sempre andarci.

(d)alle ore 18.00 al Circolo Zabriskie Point, in Corso Milano 44/A

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Trattatello di anatomia ergonomico-funzionale contemporanea

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In nome dei sempiterni Valori illuminanti et irrinunciabili, sì pilastri della Legge 107 sulla BònaScola, ma anche della sacrosanta volontà bipartisan, consolidatasi nelle ultime legislature, di svecchiare le ormai esangui regole della democrazia formale a favore di un risoluto approdo, che per gli italici costumi suona ritorno, alla dittatura – oggi rinominata governance –, di Meritocrazia, Selezione, Aziendalismo, Sicurezza, Controllo, Gerarchia, Precariato, Servaggio della gleba e Consumo, qui si mostrerà del miglior uso dei corpi dei sudditi a maggior gloria del sistema-Paese.
Per disvelare, e con ciò esemplificare al Lettore (anche grazie all’ausilio di puntuali tavole anatomiche disegnate a mano da Kaius), le semplici ma assai efficaci risposte che i preclari progressi nella medicalizzazione tecno-logica e nell’impianto di dispositivi di biopotere offrono alle attuali esigenze del mercato globale, ci siamo avvalsi di una delle istituzioni totali che più ha fatto agio alle classi dominanti: LA SCUOLA.

Ai nostri pochi ma scaltri lettori offriamo questo breve papello. Si tratta di un moderno trattato di anatomia comparata, ove la comparazione è tra le funzionalità degli organi anatomici e la loro funzione sociale.

Un mondo teso alla modellizzazione d’ogni sua parte in nome d’una traslucida perfezione non poteva mancare di agire anche sui corpi.
Dopo l’esaltazione della loro mercificazione, le teorie del bello, l’edonismo da sfilata, il martellante succedersi delle mode, la vetrinizzazione del Sé, ecco per la prima volta mostrata, con crudo realismo, la sfera del dominio e della costrizione.

Il trattato è composto da una concisa esposizione delle premesse generali della moderna anatomia funzionale, in cui si dà conto del contesto e dell’obiettivo generale di questa scienza applicata: poche frasi, ma fulminanti.
Seguono quindici tavole minuziosamente disegnate da Kaius, ciascuna delle quali è accompagnata da una puntuale didascalia che descrive gli effetti di queste protesi anatomo-funzionali destinate a Docenti e Studenti – ma evidentemente, come precisato nell’esposizione iniziale, applicabili anche ad altri ambiti – con lo scopo di fluidificare e accrescere la loro partecipazione al contesto lavorativo.

A intervallare, una serie di lemmi completa l’opera, così da permettere a chi è nuovo a questo genere di discipline di avvicinarvisi più agevolmente.

Non temano, i lettori, la durezza di taluni dei dispositivi qui presentati.
Col tempo, ci si abitua a tutto.

[dalla quarta di copertina]

Indice

pag. 2 Venghino, siòri, venghino… (introduzione)
pag. 3 Tavola I Muscolo cardiaco ed encefalo
pag. 4 Lemma 1 Lavoro salariato (o dipendente o subordinato)
pag. 5 Tavola II Sostituzione oculare con camera panottica
pag. 6 Lemma 2 Lavoro autonomo
pag. 7 Tavola III Amputazione delle orecchie
pag. 8 Lemma 3 Lavoro volontario (o gratuito o corvée)
pag. 9 Tavola IV Occlusione definitiva delle narici
pag. 10 Lemma 4 Lavoro di cura (o di servizio)
pag. 11 Tavola V Protesi di potenziamento linguale
pag. 12 Lemma 5 Assemblea
pag. 13 Tavola VI Impianto permanente di divaricatore anale progressivo
pag. 14 Lemma 6 Sciopero
pag. 15 Tavola VII Trapianto pilifero allo stomaco
pag. 16 Lemma 7 Sciopero politico (o di massa)
pag. 17 Tavola VIII Trasfusione di piombo nelle cavità ossee dei piedi
pag. 18 Lemma 8 Sfruttamento (e suoi rimedi)
pag. 19 Tavola IX Blocco meccanico dei bulbi oculari e morso equino per cavità orale
pag. 20 Lemma 9 Scuola (pubblica)
pag. 21 Tavola X Potenziamento delle mani
pag. 22 Lemma 10 Scuola (privata)
pag. 23 Tavola XI Giogo
pag. 24 Lemma 11 Università
pag. 25 Tavola XII Razionalizzazione dell’apparato digerente e asportazione del fegato
pag. 26 Lemma 12 Crisi
pag. 27 Tavola XIII Castrazione-infibulazione
pag. 28 Lemma 13 Servitù volontaria
pag. 28 Lemma 14 Repressione
pag. 29 Tavola XIV Impianto di placche di metallo tutoriali per le ginocchia
pag. 30 Lemma 15 Emergenza (stato d’-)
pag. 31 Tavola XV Impianto di placche di metallo tutoriali per le caviglie
pag. 32 (presentazione)

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Sciopero infinito

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…il temibile e surreale Carrabrone, riempitosi d’una moltitudine di strane singolarità che si
contagiano menti e corpi, in un volo per nulla aggraziato, sfida la sua stessa struttura alare…
(“La struttura alare del calabrone, in relazione al suo peso, non è adatta al volo,
ma lui non lo sa e vola lo stesso”)

 

Verso lo sciopero infinito

Nell’apparente normalità delle nostre metropoli, scandita dal ritmo monòtono di lavoro-consumo-lavoro, si aggirano spettri che, spesso nell’anonimato, odiano il lavoro che hanno e quello che non hanno, disprezzano i loro superiori, praticano il furto nei supermercati, occupano abusivamente le case, sono dei sistematici assenteisti, non tollerano il decoro della città. Gli ultimi di questa schiera vivono ai margini della metropoli, senza diritti, e si riconoscono perché il loro aspetto, il loro comportamento, i loro abiti, il colore della pelle, la lingua rivelano immediatamente la loro condizione. Altri sono ben nascosti sotto l’aspetto rassicurante del ‘buon cittadino’, del ‘buon lavoratore’, dello studente. Spesso non si conoscono, talvolta formano dei piccoli gruppi, altre volte diffidano l’uno dell’altro, ma ciò nonostante esistono, erodono nei loro comportamenti la sicurezza del potere e, quel che è più importante, ci sono momenti in cui riescono persino a prefigurare un altro modo di vivere nella metropoli.

Quando i potenti invocano più sicurezza è perché istintivamente avvertono che esiste una moltitudine di singolarità in grado di incrinare la certezza di un ordine consolidato, di un tempo sempre uguale a se stesso, di un mondo apparentemente immodificabile. Un grande teatro dove tutti recitano le parti a loro assegnate: il padrone comanda sul lavoro altrui, il politico amministra la cosa pubblica, il poliziotto fa rispettare la legge, il sindacato difende i ‘diritti’ dei lavoratori e i lavoratori producono.
Nelle società democratiche lo sciopero ha il suo posto nell’ordine delle cose. A scadenza regolare, entro i limiti consentiti dalla legge, con le dovute forme, sempre con l’appoggio del sindacato (più o meno di base), i lavoratori possono avanzare le loro rivendicazioni.
Penseranno poi i sindacati a mettere d’accordo le parti in conflitto attraverso un’adeguata contrattazione che soddisfi il padrone e il lavoratore. Presto ci si accorgerà che la ‘giusta’ contrattazione non cambia le nostre vite: si può vincere (strappare un posto di lavoro in più, magari a discapito di altri lavoratori che lo perdono; ottenere qualche altra briciola di salario per gettarci ancora di più nel mondo incantato delle merci; conquistare una gabbia sicura per tutta la vita) oppure perdere (il lavoro, il posto, la sicurezza, la possibilità di consumare), ma la sostanza delle cose non cambia.
Il giorno dopo ognuno riprenderà il suo posto: il lavoratore al lavoro, i padroni al comando, i poliziotti a garantire l’ordine e i politici ad amministrarlo. Tutto resterà come prima.

Proviamo invece a immaginare uno sciopero infinito, uno sciopero che non termina, che ha come fine la costruzione di un altro modo di vivere. Proviamo a immaginare un corteo che non si conclude, che è solo momento di raccordo di corpi che non si separano alla fine, che mantengono vivo il calore della vicinanza. Proviamo a immaginare uno sciopero che ci unisca all’astensione forzata di coloro che sono già oltre il margine, che sia prima di tutto contro noi stessi, contro le identità che ci vengono cucite addosso, contro noi in quanto lavoratori, contro noi in quanto cittadini, contro noi in quanto consumatori, contro noi in quanto studenti.
Usiamo pure le scadenze, le lotte, gli scioperi di questo o quel sindacato. Facciamone uso, sapendo però che la vera posta in gioco non è ottenere questo o quel singolo risultato, ma la costruzione di nuove forme di vita, di un modo nuovo di stare assieme che rovesci il mondo che abitiamo.
Non rivendicare niente è il primo passo per ottenere tutto.

Per fare questo dobbiamo costruire le forme organizzate dello sciopero infinito. Le relazioni, le amicizie dal basso che ci permettano di mettere in campo una forza costruttiva che faccia incontrare la metropoli spettrale nella quale ci aggiriamo e le dia forza, voce, calore.
Dobbiamo organizzarci come parte di chi non vuole appartenere, di chi rifiuta di essere lavoratore o cittadino, ma che invece costruisce il proprio essere attraverso la forma comune che lega le nostre diversità.
Uno sciopero infinito è fatto di sabotaggio, di furto, di distruzione del decoro, ma soprattutto dell’amore che lega tra loro singolarità diverse, è gioiosa inventiva capacità di mettere insieme tutto questo.

Lo sciopero infinito è la costruzione di nuove forme di vita fondate sulla messa in comune di ciò che non può essere fatto proprio da nessuno perché è la possibilità stessa dell’usare e dell’agire in comune.

Lo sciopero infinito è la metropoli che si fa parte, è l’uscita dalle identità imposte, è il carnevale delle singolarità, è il comunismo come possibilità data.

Prepariamo l’esodo dentro e contro la metropoli, costruiamo la metropoli della nostra parte attraverso un contagio indefinito di menti e corpi.

 

27/10/2017
franti

Che cos’è Franti? Franti non è qualcosa di diverso dallo sciopero infinito, frammento piccolo, piccolissimo di questo movimento di scissione. Spettro tra gli spettri che attendono l’ora del loro incontrarsi, annusarsi, toccarsi, contaminarsi, riconoscersi, amarsi.

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Trattatello #CLIP

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Ospiti

Deliverance Strike Mass – 15 Luglio!

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Siamo i lavoratori in bicicletta di Deliveroo. Quelli che la gig economy chiama “rider”. Deliveroo dice che siamo “collaboratori autonomi” e “fornitori indipendenti” di prestazione d’opera, che bastano uno smartphone, una bicicletta funzionante e due gambe robuste e diventi “imprenditore di te stesso”.

La nostra azienda dice che consegnare cibo non è un lavoro ma un “lavoretto” e per questo il sistema dell’assegnazione dei turni attraverso uno “slot” orario e “la messa a disposizione” rappresenta un sistema equo ed innovativo per la “valorizzazione” del nostro tempo: se sei molto disponibile e molto veloce consegnerai tanto e salirai nel ranking, perché l’algoritmo che smista gli ordini ne terrà conto; se avrai problemi, bucherai, sarai malato, partirai in vacanza, sospenderai per un po’ la collaborazione, perderai posizioni e la possibilità che altri slot orari ti vengano assegnati. E’ la dura legge del delivery food.

Una legge che non ammette ambiti di discussione, secondo quanto abbiamo potuto verificare in questi mesi, quando abbiamo cercato più volte un canale di comunicazione con l’azienda. Lavoriamo precarizzati. Corriamo per strada, tra una consegna e l’altra, rischiando la vita, nel traffico, senza copertura assicurativa che ci tuteli. Non abbiamo ferie. Malattia. Non abbiamo alcuna garanzia sul nostro futuro. Nessuna prospettiva di assunzione, con la spada di Damocle del tetto dei 5000 euro sulla ritenuta d’acconto. Con il ricatto dell’apertura di una partita iva che non ci possiamo permettere. Per questo abbiamo deciso di mobilitarci, organizzando la prima Deliverance Strike Mass. Perché le nostre condizioni di lavoro debbono migliorare. E le nostre richieste non caschino mai più nel vuoto del silenzio di un “clic”.

Chiediamo a Deliveroo Italia:

– se siamo lavoratori flessibili e collaboratori autonomi, per quale motivo non possiamo rifiutare il 10% delle consegne come da contratto

– se siamo intenzionati a vivere di questo lavoro, perché ci viene negata la possibilità di farlo attraverso l’applicazione di un contratto nazionale di categoria che normalizzi la nostra condizione emancipandoci dal ricatto delle partite iva

– se siamo risorse per la nostra azienda per quale ragione non abbiamo copertura assicurativa integrativa in caso di incidente o un bonus in caso di pioggia, materiale di lavoro adeguato o rimborsi di spesa per la manutenzione

– se siamo prestatori d’opera indipendenti, come mai Deliveroo offre un servizio di intermediazione di manodopera ai ristoratori, gestendo i rider da somministrati come un’agenzia del lavoro

– se il cottimo non è permesso in Italia, perché nel delivery food dovrebbe trasformarsi in un’opportunità legittima, ripristinato da queste nuove forme di lavoro

Per queste e molte altre ragioni vi invitiamo tutte e tutti a partecipare sabato 15 luglio alla prima Deliverance Strike Mass che partirà alle 19.30 in Piazza XXIV maggio a Milano. Una biciclettata per le strade della città, tra ristoranti e punti di ritrovo dei rider.

Support Your Local Strike Raiders! Raise Your Bicycle!

Pretendiamo risposte concrete e ci stiamo organizzando per farci valere! Per informazioni scrivici a deliverancemilano@gmail.com o seguici sulle nostre pagine Facebook:

https://www.facebook.com/deliverancemilano/

Deliveroo Strike Raiders

Deliverance Milano

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La riforma universitaria del 1969 – Legge Codignola

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La legge Codignola è preceduta da un’altra importante legge di riforma della scuola: la legge di istituzione della scuola media unificata del 31/12/1962 N. 1859.

Negli anni precedenti, lo studente aveva due possibilità per continuare gli studi dopo la licenza elementare: l’avviamento al lavoro, industriale o commerciale (le commerciali erano frequentate prevalentemente dalle ragazze che volevano “fare le segretarie”), o le scuole medie. L’avviamento al lavoro non permetteva l’iscrizione ai corsi superiori se non attraverso difficili esami integrativi; le scuole medie, riservate a chi aveva superato uno specifico esame d’ammissione, davano la possibilità di iscrizione diretta alle medie superiori.

Il 31/12/1962 la legge N.1859 accorpò i due sbocchi in un unico corso triennale: la scuola media unificata e obbligatoria che dava accesso a qualsiasi corso superiore dal liceo classico ai corsi professionali. L’avviamento al lavoro fu abolito.

L’accesso all’Università prima del 1969 era condizionato dal tipo di scuola superiore frequentata: il liceo classico dava accesso a tutte le facoltà; il liceo scientifico a tutte le facoltà tranne che a lettere e filosofia; il liceo artistico ad architettura; ragioneria a economia e commercio; perito industriale a ingegneria… le magistrali a Magistero. Sta di fatto che molti corsi universitari erano accessibili solo ai liceali: lettere e filosofia, medicina, legge …

La legge Codignola dell’11 dicembre 1969, N 910 “liberalizzò” l’accesso alle facoltà universitarie: fu possibile l’iscrizione a qualsiasi corso universitario con qualsiasi diploma ottenuto dopo un corso di studi di cinque anni.

Nel ’67 e nel ’68 quando ebbe inizio la protesta degli studenti universitari, l’Università era ancora “un’Università di classe”. Basterebbe ritrovare qualche analisi fatta allora dagli stessi studenti sul numero degli iscritti in base al lavoro del padre. Le analisi dimostravano che la percentuale di iscritti figli di professionisti, impiegati, insegnanti era decisamente superiore agli iscritti, figli di operai e di contadini.

Proprio contro l’Università così com’era, cioè di classe, discriminatoria a causa dei costi elevati, dell’organizzazione e dei programmi, nasceva la protesta.

Devono essere presi in considerazione anche alcuni dati di fatto: gli studenti delle superiori premevano dal basso. Nel 1967, per effetto della riforma della scuola media, si ebbe un numero molto elevato di studenti nelle superiori, non più così elitarie.

In Italia erano gli anni del “boom economico” e del “boom demografico”.

Il clima sociale spingeva verso una scolarizzazione di massa.

Alcune opinioni correnti di allora: “ i ragazzi che studiano sono fortunati, perché non lavorano, non devono spaccarsi la schiena”; “si studia NON per trovare lavoro (di quello ce n’è in abbondanza), si studia per trovare un lavoro MIGLIORE”: “ io, genitore faccio sacrifici per permettere a mio figlio di studiare perché non voglio che faccia la mia stessa vita”; “ chi studia ha gli strumenti per reagire ai soprusi e agli imbrogli”. Insomma la scolarizzazione era strumento di promozione sociale.

Non ci si dimentica la relazione tra interessi del capitale e minore o maggiore scolarizzazione, ma pur nella potenza e nel potere dell’istituzione, tale legame non funziona in automatico, senza intoppi, liscio come l’olio. Il movimento del ’67 e del ’68 è stato un autentico slancio contro quel legame, con tutti i limiti e le ingenuità del ‘68.

La riforma dell’Università del ’69 fu uno dei tentativi delle istituzioni di rispondere e di regolamentare le spinte dal basso. Schematicamente, in quegli anni funzionava così: lotte sociali > risposta delle istituzioni: repressione e riforme; per la scuola possiamo citare ancora la riforma che alleggerisce l’esame di maturità, sempre del 1969, e l’istituzione degli organi collegiali del ’74.

Per finire, una domanda: perché gli studenti di lettere e di filosofia dell’Università Cattolica di Milano, sostanzialmente “figli di papà” occuparono l’Università insieme agli studenti/lavoratori di economia e commercio (L’Università Cattolica era l’unica a Milano ad avere il corso serale di economia e commercio frequentato dagli studenti/lavoratori) e insieme a tutti gli altri? Per altruismo? Per senso di giustizia? Abbiamo un’altra ipotesi che ci piacerebbe discutere: per IDENTIFICAZIONE, per COMUNIONE, per il NOI TUTTI! La “coscienza di classe” interpreta il comune interesse economico in vari modi; in quel caso, per esempio, tra le altre cose, c’era il comune desiderio di emancipazione dalla famiglia.

Oggi, ovviamente, i tempi sono cambiati; l’unica cosa che possiamo dare per certo come invariata è il desiderio dei “padroni” di controllo e di utilizzo della scuola, a seconda del loro interesse.

Franti&cobras, giugno 2017

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Lettere di Franti/

La teoria dei Numeri chiusi

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La teoria dei numeri chiusi, che ha subito nei tempi storici alterne vicende, è recentemente stata riportata in auge dal Prof. Gill von Vague1, valtellinese.

La teoria si basa sul presupposto che esista, affianco all’insieme dei numeri naturali N, all’insieme dei numeri reali R e dei numeri complessi C, l’insieme dei numeri chiusi K che è un sottoinsieme chiuso di N e gode di proprietà del tutto particolari.

Somma di numeri chiusi

Per i numeri chiusi è possibile definire un operatore somma:

k1 + k2 = k3

che è dotato di uno zero:

k + 0 = k

questo operatore di somma gode della proprietà commutativa:

k1 + k2 = k2 + k1

I numeri chiusi possono quindi considerarsi a tutti gli effetti un gruppo abeliano o commutativo.

Gli elementi di un gruppo di numeri chiusi, se sommati, generano un elemento appartenente allo stesso gruppo, uguale e non maggiore ad uno dei due addendi:

k1 + k2 = k3 con k3 <= max(k1, k2)

Cioè sommando due numeri chiusi non si ottiene mai un numero maggiore del più grande dei due.

Iscrizione

L’appartenenza di un numero all’insieme dei numeri chiusi è detta iscrizione. L’operatore di
iscrizione non ha un inverso e seziona l’insieme dei numeri in due sottoinsiemi a intersezione nulla.

Prodotto tra numeri naturali e numeri chiusi

È definito un operatore di moltiplicazione tra l’insieme dei numeri chiusi e l’insieme dei numeri naturali <K * N> che da come risultato sempre e solo il numero appartenente a K. Ossia l’intero insieme dei numeri naturali puo’ essere visto come l’unità per l’insieme dei numeri chiusi:

k * n = k per ogni n ϵ N e per ogni k ϵ K

Somma tra numeri chiusi e numeri naturali

Non è, invece, definito un operatore di somma tra numeri chiusi e numeri naturali, anzi vi è una attenzione particolare a questo tipo di operazione. Sommare numeri chiusi a numeri naturali produce risultati impredicibili2 ne discende il

primo teorema di Vague

(K + N = ?).

Operatori

L’operatore che trasforma un numero naturale in numero chiuso si chiama nutKracker (nK).

Valgono, per il nutKracker, le seguenti banali proprietà:

nK(n) K

nK(n1+n2) = nK(n1) + nK(n2) = k1 + k2 <= max(k1,k2)

In buone parole l’insieme dei numeri chiusi è tale che sommando o moltiplicando non se ne esce mai.

Applicazioni

I numeri chiusi trovano un’applicazione proficua in fisica in quanto, in particolari condizioni, accentuano la generazione di solitoni in movimento, onde solitarie altrimenti dette soloni (o saloni) mobili (o del-mobile).

Lo spazio che la teoria dei numeri chiusi è in grado di generare per i saloni del mobile è sperimentato e vasto3 benché ancora oggetto di studio.

Si suppone che tale teoria, nata dalla matematica e passata alla fisica, possa generare benefici risultati anche nelle scienze economiche.

Il paradosso della torta

Noto è il paradosso della torta per cui una torta divisa per un numero chiuso genera fette sempre più grandi di una equivalente torta divisa per un numero naturale.

Avverse fortune della teoria dei numeri chiusi

La teoria dei numeri chiusi è al momento molto in auge, i suoi favori attraversano la comunità scientifica raccogliendo consensi dai piccoli e grandi ricercatori alle alte baronie e sembrano, con questo, confermare la sua validità.

Voci discordanti, però, provengono dai rumorosi corridoi e da qualche scritto del professor Ommot von Bigol4, anch’egli valtellinese, che sostiene che la teoria non ha alcuna reale base scientifica sperimentale e che, anzi, avanza l’ipotesi secondo cui un gruppo chiuso (K) diviso per un gruppo naturale (N) non possa che disperdersi in un gruppo reale continuo (R), derivabile e completo. Da ciò Ommot deduce che l’incompletezza del gruppo dei numeri chiusi non puo’ che essere cagione della sua rottura5.

Stupisce la disattenzione della comunità scientifica nazionale ed internazionale a quelli che potrebbero essere gli effetti della teoria del numero chiuso se applicata al mondo reale, al contrario degli istituti di economia che vi hanno già investito, e ricavato, ingenti somme.

La comunità scientifica sembra essere al momento più interessata alla teoria del trasferimento o del movimento forzoso che però, nel parere di chi scrive, non è del tutto estranea nelle premesse e nelle conseguenze alla teoria del numero chiuso.

Vale in conclusione segnalare un nuovo canale di ricerca che si basa sull’ipotesi che si verifichi una crescita esponenziale qualora l’operatore nK() sia applicato all’operatore scolastico tax():

ipotesi di Ommot o ‘del corridoio’

nK(tax(n)) = tax exp(tax(n))

giugno 2017, ommot

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1 Il prof Vague si laurea in medicina negli anni ‘80 e si specializza in “Anatomia patologica a seguito di ripetuti forti colpi sul corpo”, tecnica di cui ipotizzò applicazione nelle SPA e nei Chiostri rinascimentali come forma di cura al baccanismo e all’indipendentismo, malattie oggi rare ma un tempo virulenti.

Come Ivo Livi, che divenne Yves Montand grazie a sua madre che lo apostrofava dalla finestra: “Ivo monta, che la pasta è pronta!”, così Gill, seguito dalla genitrice negli studi di matematica e da essa sollecitato: “Gill, ti prego, non essere vago”, risulta oggi più noto col nome di Gill Vago.

2 Un po’ come sommare numeri reali a numeri immaginari genera lo spazio dei numeri complessi così sommare numeri naturali e numeri chiusi potrebbe generare degli spazi multidimensionali aperti di cui ancora non si conoscono né dominano le proprietà.

3 Su questo il professor Vague, insieme ai suoi sodali Senatori, ha prodotto numerosissime pubblicazioni tutte disponibili in letteratura.

4 Ommot Bigol, noto perdigiorno, è il fondatore di “tha Beagle C@mpany” che ha dato vita recentemente ad una singolare crypto-moneta.

5 Questo spiegherebbe quello che taluni chiamano “L’enigma della rottura” e che potrebbe corrispondere all’ottava catastrofe elementare del sistema descritto da René Thom.

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Scaletta cobras

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un contributo con gli occhi al passato che viene dalla recente vicenda Cobas scuola Milano [a.k.a. Cob(r)as] per una possibile riflessione su conflitto e sindacalizzazione

PER UNA SCALETTA SU PERCORSI CONFLITTUALI NELLE SCUOLE MILANESI.
QUI IL PERCORSO CHE HA RIGUARDATO NOI.

In premessa

  • Ogni racconto, ogni narrazione contiene un dato di ‘soggettività’, una ‘memoria parziale’.

Tentando una scansione dei tempi

  • Ci pare di poter individuare, nella ‘nostra’ storia un crinale che traccia una, almeno parziale, differenza tra un prima e un dopo. Collochiamo questo crinale attorno al 2000, con l’apertura milanese d’una sede cobas e l’inserimento nostro nei ‘Cobas istituiti’.
  • Siamo tuttavia altresì convinti di poter riscontrare, tra quel prima e quel dopo, anche una linea forte di continuità, nel metodo, con le esperienze che precedettero quel momento: fino ad oggi, tempo in cui un altro passaggio abbiamo ritenuto necessario.

È nella contraddizione appena descritta che si situa la nostra storia, anomala, difforme e dissimmetrica, di sedici anni nei-accanto-in conflitto-con i ‘Cobas istituiti’.
Per capire questa contraddizione occorre riandare:

  • alle esperienze di lotta autonoma di fine anni Settanta, alla loro caratteristica, al
  • metodo che ci hanno trasmesso,
  • al movimento di metà anni Ottanta,
  • alle esperienze pluridecennali di assemblee con raccolta di firme nelle scuole,
  • alle restrizioni successive fino all’annullamento d’ogni spazio,
  • al tentativo referendario per limitare lo strapotere dei confederali,
  • alla critica all’idea delle RSU,
  • alle ambiguità della sinistra CGIL
  • alla totale assenza di ‘diritto’ di parola nei luoghi di lavoro fuori da ogni sindacato.

Da questo insieme di gelosa esperienza nostra e di imposizione dall’alto delle regole del gioco nascevano i ‘cobas scuola Milano’, che hanno portato con sé contraddizione e anomalia cobras…

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comunicobras nel 40ennale del ’77

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Alla fine abbiamo deciso. Chiudiamo l’esperienza che accomunava ‘cobas scuola milano’ e il suo alias ‘cobras’.

Scegliamo e portiamo con noi l’anima ribelle, l’anima critica, l’anima originaria. Portiamo quel che costituisce anomalia nella normatività, portiamo con noi cobras.
Abbandoniamo quella parte che, nonostante sé , nonostante il perenne sforzo d’esserne fuori, s’è mostrata vieppiù di vuota ‘rappresentanza’. Abbandoniamo dunque ‘cobas scuola milano’ perché contro le nostre intenzioni ha prevalso e vinto su di noi la delega di altri.
L’abbandoniamo convinti di non voler contribuire ad un sistema di relazioni in cui ciò che vale è che qualcuno rappresenti qualcun altro.
Dunque una contraddizione, vera o apparente che sia stata, di questo nostro sedicennio milanese <quello che segna i tempi, non già delle nostre lotte, ma del passaggio milanese ai Cobas ‘istituiti’> giunge a soluzione inequivoca. Alcuni, i più convinti della bontà d’un modello sindacale, presenti un po’ ovunque, ne saranno del tutto indifferenti o piuttosto felici, ciascuno comunque interessato al proprio ombelico organizzativo.
Ma si badi, la contraddizione vissuta nell’esperienza dei ‘cobas scuola milano’ non è altra da quella, che è stata ed è, tra movimenti e forme d’autorganizzazione da un lato, e delega e forme di rappresentanza dall’altro; tra istanze sovvertitrici dei primi, e ripiegamenti sino allo snaturamento delle seconde; tra capacità d’autonomia da un lato, e sua confisca nella rappresentanza dall’altro. Così anche, tra il movimento degli anni Ottanta, che tanto interesse e potenziale suscitò anche al di fuori della scuola, e i successivi, variegati e tristi, esiti sindacali.
Null’altro aggiungeremo, ché si commentano da sé, circa verticalità interne e concorrenze orizzontali del cosiddetto ‘sindacalismodi<?>base’. Il difetto, evidentemente, sta nel manico.
Somma colpa dei ‘cobas scuola milano’, dal 2000 ad oggi, è stato l’interpretare la ‘forma sindacale’ restando lavoratori autorganizzati, non cedendo al sindacalismo di professione; è stato il tentativo di arginare la deriva sindacale tenendo saldi i principii della partecipazione diretta e della critica della delega e della rappresentanza; è stato il mai assuefarsi alla forma sindacale classica, nonostante l’azione di difesa anche sindacale; è stato il rifiuto di pensarsi solo come ‘categoria’ priva d’ogni intento più generale; è stato il coraggio di schierarsi pubblicamente contro la stessa propria organizzazione nazionale, quando l’etica e il merito delle cose lo imponevano. Tutti fatti rari in tempi di ‘parrocchie’, custodi gelose e miopi dei propri micropoteri.
Non abbiamo vinto in questa battaglia e, dunque, ci sottraiamo alla, pur anomala, ‘forma sindacale’ che, abbiamo cercato di far vivere ai soli fini di riaprire spazi per il diritto alla parola di tutti e ciascuno nei luoghi di lavoro. Sarà allora solo su un piano di autonomia che potrà vivere l’eredità d’intenti e pratiche che ci hanno caratterizzato.
Angelo A., Angelo D., Elvira G., Fabrizio B., Francesco M., Gianni T.
comunanza cobras
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Milano, tra marzo e aprile del 40ennale del ’77