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La riforma universitaria del 1969 – Legge Codignola

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La legge Codignola è preceduta da un’altra importante legge di riforma della scuola: la legge di istituzione della scuola media unificata del 31/12/1962 N. 1859.

Negli anni precedenti, lo studente aveva due possibilità per continuare gli studi dopo la licenza elementare: l’avviamento al lavoro, industriale o commerciale (le commerciali erano frequentate prevalentemente dalle ragazze che volevano “fare le segretarie”), o le scuole medie. L’avviamento al lavoro non permetteva l’iscrizione ai corsi superiori se non attraverso difficili esami integrativi; le scuole medie, riservate a chi aveva superato uno specifico esame d’ammissione, davano la possibilità di iscrizione diretta alle medie superiori.

Il 31/12/1962 la legge N.1859 accorpò i due sbocchi in un unico corso triennale: la scuola media unificata e obbligatoria che dava accesso a qualsiasi corso superiore dal liceo classico ai corsi professionali. L’avviamento al lavoro fu abolito.

L’accesso all’Università prima del 1969 era condizionato dal tipo di scuola superiore frequentata: il liceo classico dava accesso a tutte le facoltà; il liceo scientifico a tutte le facoltà tranne che a lettere e filosofia; il liceo artistico ad architettura; ragioneria a economia e commercio; perito industriale a ingegneria… le magistrali a Magistero. Sta di fatto che molti corsi universitari erano accessibili solo ai liceali: lettere e filosofia, medicina, legge …

La legge Codignola dell’11 dicembre 1969, N 910 “liberalizzò” l’accesso alle facoltà universitarie: fu possibile l’iscrizione a qualsiasi corso universitario con qualsiasi diploma ottenuto dopo un corso di studi di cinque anni.

Nel ’67 e nel ’68 quando ebbe inizio la protesta degli studenti universitari, l’Università era ancora “un’Università di classe”. Basterebbe ritrovare qualche analisi fatta allora dagli stessi studenti sul numero degli iscritti in base al lavoro del padre. Le analisi dimostravano che la percentuale di iscritti figli di professionisti, impiegati, insegnanti era decisamente superiore agli iscritti, figli di operai e di contadini.

Proprio contro l’Università così com’era, cioè di classe, discriminatoria a causa dei costi elevati, dell’organizzazione e dei programmi, nasceva la protesta.

Devono essere presi in considerazione anche alcuni dati di fatto: gli studenti delle superiori premevano dal basso. Nel 1967, per effetto della riforma della scuola media, si ebbe un numero molto elevato di studenti nelle superiori, non più così elitarie.

In Italia erano gli anni del “boom economico” e del “boom demografico”.

Il clima sociale spingeva verso una scolarizzazione di massa.

Alcune opinioni correnti di allora: “ i ragazzi che studiano sono fortunati, perché non lavorano, non devono spaccarsi la schiena”; “si studia NON per trovare lavoro (di quello ce n’è in abbondanza), si studia per trovare un lavoro MIGLIORE”: “ io, genitore faccio sacrifici per permettere a mio figlio di studiare perché non voglio che faccia la mia stessa vita”; “ chi studia ha gli strumenti per reagire ai soprusi e agli imbrogli”. Insomma la scolarizzazione era strumento di promozione sociale.

Non ci si dimentica la relazione tra interessi del capitale e minore o maggiore scolarizzazione, ma pur nella potenza e nel potere dell’istituzione, tale legame non funziona in automatico, senza intoppi, liscio come l’olio. Il movimento del ’67 e del ’68 è stato un autentico slancio contro quel legame, con tutti i limiti e le ingenuità del ‘68.

La riforma dell’Università del ’69 fu uno dei tentativi delle istituzioni di rispondere e di regolamentare le spinte dal basso. Schematicamente, in quegli anni funzionava così: lotte sociali > risposta delle istituzioni: repressione e riforme; per la scuola possiamo citare ancora la riforma che alleggerisce l’esame di maturità, sempre del 1969, e l’istituzione degli organi collegiali del ’74.

Per finire, una domanda: perché gli studenti di lettere e di filosofia dell’Università Cattolica di Milano, sostanzialmente “figli di papà” occuparono l’Università insieme agli studenti/lavoratori di economia e commercio (L’Università Cattolica era l’unica a Milano ad avere il corso serale di economia e commercio frequentato dagli studenti/lavoratori) e insieme a tutti gli altri? Per altruismo? Per senso di giustizia? Abbiamo un’altra ipotesi che ci piacerebbe discutere: per IDENTIFICAZIONE, per COMUNIONE, per il NOI TUTTI! La “coscienza di classe” interpreta il comune interesse economico in vari modi; in quel caso, per esempio, tra le altre cose, c’era il comune desiderio di emancipazione dalla famiglia.

Oggi, ovviamente, i tempi sono cambiati; l’unica cosa che possiamo dare per certo come invariata è il desiderio dei “padroni” di controllo e di utilizzo della scuola, a seconda del loro interesse.

Franti&cobras, giugno 2017

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