Corrono. Venti/trentenni quadricipiti torniti, agili spingono il pedale, lesti alla svolta, attenti a cogliere l’attimo del sorpasso, del vuoto che si crea nel traffico cittadino, per infilarvisi.
Par di vedere quei ciclisti newyorkesi, capaci di mirabolanti performances sul loro mezzo, decisamente il più veloce nella jungla d’asfalto. Taluno si dota d’un motorino, ma occorre pur sempre metter miscela e, poi, fare i conti della giornata.
Corrono, corrono a soddisfare l’appetito della città frettolosa. Un click su un’app li mette in moto verso fornitori e destinatari.
Foodora, Just-it, Deliveroo, sono attualmente le agenzie che gestiscono questo traffico moderno. Non forniscono i classici strumenti contrattuali d’un tempo; tutto è più veloce, moderno appunto, e lo stesso click è sufficiente ad escludere, a ‘licenziare’, si sarebbe detto allora, senza fastidiose conseguenze.
È la filosofia del tempo, quella del lavoro precario e flessibile, del jobs act, quella del lavoro gratuito di Expo o dell’alternanza scuola-lavoro della ‘buona-scuola’. La filosofia che mira a farti sentire il ‘valore’ del lavoro, a fartelo vivere come una fortuna, non come una condanna, quale è. La battaglia che conduce questo moderno padronato non è solo sulle nuove condizioni di lavoro, è soprattutto sul ‘valore’ da attribuire al lavoro.
A Torino si trovano, si conoscono e ri-conoscono, e, nonostante la minaccia dell’esclusione dalla app, danno inizio ad un percorso collettivo di rivendicazione dei più elementari diritti: salario, contratto che garantisca ferie e malattia, tutele dalle rappresaglie dell’azienda…
Stupiti (quasi) nel raccontare le miserabili condizioni che li fanno sfrecciare per la città, si devono persino giustificare per averlo scelto, quel lavoro, e dopo averlo scelto di averlo trovato stretto. Si scopre (di nuovo) che non vi sia nulla di strano nel definire sfruttamento un rapporto di lavoro, che sarebbe tale anche in presenza di un contratto a tempo indeterminato. Perché mai il padrone si avvarrebbe dei loro servigi se non per sfruttarli e ricavarci profitto, ricchezza? E che c’è da stupirsi di chi ‘sceglie’ un lavoro da sfruttato? E’ un’opzione possibile questa? O l’unica possibilità?
E tuttavia il gruppo cresce, scopre la forma dell’autorganizzazione, rompe il silenzio, viola l’assunto che la parcellizzazione del lavoro impedisca le azioni collettive, si fa catalizzatore di movimento ed attenzioni. Da Torino si muove a Milano, gli occhi guardano la Germania, la sede centrale. Anche là il trattamento è dello stesso tipo, è la globalizzazione.
Stupiti (forse), ma per nulla inconsapevoli, chiedono l’impossibile: “un contratto nazionale”. Nel mondo della precarietà e della servitù volontaria questa richiesta si legge come una provocazione.
Ma come, non siamo per le trattative individuali? La differenziazione su piccola scala? Già a Milano i loro colleghi prendono un po’ di più, e forse anche tra loro ci sono scale di diversificazione più fini.
Hanno saputo radicarsi, raggiungere una certa ‘massa critica’ e la giocano nel rapporto di forze. Devono fare in fretta, e chi li guarda dovrà fare in fretta a prendere l’esempio prima che qualcuno trovi l’antidoto o li faccia tacere.
Alcune professioni si basano sul profitto che si ricava dal lavoro degli altri. Il politico, il giudice, il sindacalista a tempo pieno(1)…. Da questi dovranno guardarsi con cura, usarli se serve, senza rinunce del proprio vissuto autorganizzato e mantenendo la loro autonomia progettuale. Gli diranno che non si può, che non si fa così, che è incompatibile e avranno ragione, l’incompatibile è (per ora) la loro meta.
Così come gli studenti, che si son rotti del teatrino della protesta mediata, dell’occupazione concordata, che sanno che quel che li aspetta da grandi sarà di inforcare un biciclo per fiondarsi nella città trasportando cibo o oggetti di varia natura, e che sanno che quel che potranno scegliere allora sarà se farlo per un soldo di cacio o per operare una rivoluzionaria trasformazione, sarà bene che prendano esempio, si conoscano e ri-conoscano sin da ora. Chissà mai che non insegnino qualcosa loro a quei maestri spesso già stanchi prima ancora di incominciare.
(1) D’altre professioni, quali il manager e il poliziotto, sarebbe meglio facessero a meno.
Franti ottobre 2016