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To Obey or NOT To Obey / Quadro I

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I/le docenti dovrebbero essere i liberi migranti delle culture

 I/le docenti dovrebbero essere, per definizione, i migranti del sapere, i liberi migranti delle culture,

portati ad amare porti aperti, muri abbattuti e babeliche parresie dialoganti e antirazziste. È l’esercizio prima di tutto della dignità umana, non secondariamente di quella professionale, a dare senso alla loro attività; è il rivendicare una particolare attenzione ogni volta che si fa strame di valori fondativi della persona, ogni volta che si tenta l’attacco alle intelligenze e al senso critico, a dare lustro alla loro azione.

Tale dev’essere la concezione di sé, come docente, della professoressa Rosa Maria Dell’Aria, sospesa e decurtata di parte del suo stipendio, per avere permesso ai “suoi” studenti a Palermo di accostare leggi razziali e razzismo d’oggi; tale lo spirito, l’aura di libertà entro cui hanno potuto operare i “suoi” stessi studenti.

Non diversa dev’essere la concezione di sé della maestra Lavinia Flavia Cassaro, licenziata per aver urlato contro la polizia ad un presidio contro le razziste Casapound e Forza Nuova nel 2018 a Torino. Nel 2019 ha perso il ricorso: un’insegnante non può macchiarsi di lesa polizia! Paga perciò il conto proprio ‘in qualità di’ insegnante, non di comune cittadino, e viene licenziata. L’esercizio del controllo dall’alto si estende qui ad un comportamento esterno alla scuola, applicando sulla docente una concezione ‘morale’ statalizzata che evidenzia il controllo sul ‘tipo di persona’, sulle sue idee, ed esaltando nella docenza il carattere di ‘pubblica ufficialità’, per giunta in ogni luogo, non certo quello dei fondamenti di scienza e coscienza!

La vicenda dell’istituto Vittorio Emanuele III di Palermo merita attenzione perché è una vicenda la cui “colpa” è, per il ministero e per le sue ossequiose gerarchie, la libera attività didattica di un’insegnante e lo studio senza guinzaglio di gioventù pensante.
Ci chiediamo: che cosa è un insegnamento che non segni e uno studio che non appassioni e interessi?
Invece il tutto è stato fatto oggetto di occhiute delazioni o di zelanti carrierismi e di sospensioni da insegnamento e stipendio, anziché considerare che questo paese, per esempio, ancora non ha fatto i conti col razzismo.

Svoltosi in campo diverso dal precedente, cioè fuori dalla scuola, qui la prima particolarità già posta in evidenza, è il caso della maestra, cui non è permesso, e a che prezzo!, neppure fuori dai ‘sacri’ muri della scuola, di contestare l’operato della polizia, la quale sempre più spesso non solo si fa unica detentrice della violenza, ma, come nell’occasione, qui la seconda particolarità, opera a copertura di fascisti in tempi in cui lo stravolgimento di senso fa sì che il fascismo sarebbe divenuto solo un’opinione!!!

Quanto succede nella scuola è il riflesso speculare della ristrutturazione del modello societario in atto: è la governance, che prevede la santificazione della superstizione securitaria per blindare il conflitto sociale attraverso la leva dell’emergenza, del verticismo patriarcale e della criminalizzazione di ogni critica o dissenso.

Non possiamo non dirci sodali e solidali con Lavinia Flavia e con Rosa Maria e la “sua” classe.
Non possiamo non dirci ostili agli ignobili provvedimenti disciplinari.
Ciò che occorrerebbe è la loro revoca, ristabilendo formalmente il principio di evidenza e libertà.

Ogni docente e ogni studente dovrebbe rivendicare per sé e per ognuno lo spazio delle libertà e dirsi “colpevole” al pari delle interessate nelle due vicende.
Per parte nostra, si sa, Franti è “Il Colpevole” per antonomasia, dunque siamo tutti e tutte tutt’altro che immeritevoli di tali medaglie.

 

Franti, 24 maggio 2019
https://franti.noblogs.org
franti@inventati.org
@ilFranti

 

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Dove va Franti ?

Invio il testo dal titolo “Dove va Franti ?”che costituisce un contributo alla discussione all’interno del gruppo Franti. L’auspicio è che questa discussione possa avviare una riflessione sulle forme dello ‘ stare insieme’ e che possa coinvolgere un numero sempre più ampio di compagni a partire da coloro che , in un modo o nell’altro, hanno incrociato il nostro percorso. A questo proposito mi piace segnalare un testo che ho appena iniziato a sfogliare ma che mi pare si ponga sull’onda dei problemi sui quali da tempo ci interroghiamo.

Il testo così si conclude :

E vinceremo, qui e altrove. Vinceremo anche contro noi stessi. Contro ciò che, talvolta, fa di noi non molto di più che dei tristi amministratori dell’esistente. Vinceremo, , disputando a pietrate pezzi di territorio alla polizia , gettando lampi di luce negli occhi appannati della vita. Producendo il nostro cibo e mettendo in ginocchio un governo. Costituendo forze collettive e condividendo un pezzo di mondo con altri esiliati. Moltiplicando le comuni libere, generando le nostre culture e le nostre storie. Gli spazi in cui queste dieci, mille vittorie possono incontrarsi sono rare. Il notav e la zad sono tra questi. E ne ispirano altri. E’ questa la loro portata rivoluzionaria“.

Collettivo “mauvaise troupe”, Contrade. Storie di zad e notav, Tabor

Dove va Franti ?

“Il carattere distruttivo non vede niente di durevole. Ma proprio per questo vede dappertutto delle vie. Ma poiché vede dappertutto delle vie , deve anche dappertutto sgombrare la strada (…) Poichè dappertutto vede vie, egli sta sempre ad un incrocio. Nessun attimo può sapere ciò che il prossimo reca con sé. L’ esistente lui lo manda in rovina non per amore delle rovine, ma per la via che vi passa attraverso”
W. Benjamin

Franti, verso la metà del libro di De Amicis, sparisce dal racconto, non se ne farà più parola , le voci dicono “che non verrà più perché lo metteranno all’ergastolo”. A noi piace pensarlo invece alla ricerca di un’altra comunità possibile. Un po’ come altri personaggi della letteratura. Come quel Rosso Malpelo che, chissà, forse muore nella cava della rena rossa ma forse trova anche lui la strada per un’altra possibilità, un’ altra forma di vita, magari tra gli spettri che popolano i sotterranei della miniera. In questo sta la forza della letteratura, farci immaginare altri percorsi possibili. Per i personaggi che la popolano, Per noi che leggiamo.

Del resto Franti era incompatibile con l’istituzione, con qualsiasi tipo di istituzione e refrattario a qualsiasi disciplina imposta che l’istituzione, che qualsiasi istituzione, non può non presupporre.
Franti era strutturalmente ‘contro il metodo’, per riprendere un ben noto titolo di un libro di Fayerabend, perché la ricerca di ciò che non c’ è, ma desideriamo cercare, presuppone la massima libertà, anche quella di sbagliare, anche quella di tornare indietro, e questa ricerca può essere fatta senza presupposti stabili, senza regole a priori, senza un’ origine che predetermini il fondamento della nostra ricerca.

Un po’ come Franti mi pare debba essere Franti, o almeno così a me piace immaginarlo, alla continua ricerca di un’ altra comunità possibile. Una comunità che si forma attraverso la contaminazione, non uno stato di cose, non un’ istituzione. Una comunità sregolata che vive di attrazione, che si costruisce di volta in volta, senza presupposti, senza statuti, in definitiva senza stato.

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Trattatello di anatomia ergonomico-funzionale contemporanea

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In nome dei sempiterni Valori illuminanti et irrinunciabili, sì pilastri della Legge 107 sulla BònaScola, ma anche della sacrosanta volontà bipartisan, consolidatasi nelle ultime legislature, di svecchiare le ormai esangui regole della democrazia formale a favore di un risoluto approdo, che per gli italici costumi suona ritorno, alla dittatura – oggi rinominata governance –, di Meritocrazia, Selezione, Aziendalismo, Sicurezza, Controllo, Gerarchia, Precariato, Servaggio della gleba e Consumo, qui si mostrerà del miglior uso dei corpi dei sudditi a maggior gloria del sistema-Paese.
Per disvelare, e con ciò esemplificare al Lettore (anche grazie all’ausilio di puntuali tavole anatomiche disegnate a mano da Kaius), le semplici ma assai efficaci risposte che i preclari progressi nella medicalizzazione tecno-logica e nell’impianto di dispositivi di biopotere offrono alle attuali esigenze del mercato globale, ci siamo avvalsi di una delle istituzioni totali che più ha fatto agio alle classi dominanti: LA SCUOLA.

Ai nostri pochi ma scaltri lettori offriamo questo breve papello. Si tratta di un moderno trattato di anatomia comparata, ove la comparazione è tra le funzionalità degli organi anatomici e la loro funzione sociale.

Un mondo teso alla modellizzazione d’ogni sua parte in nome d’una traslucida perfezione non poteva mancare di agire anche sui corpi.
Dopo l’esaltazione della loro mercificazione, le teorie del bello, l’edonismo da sfilata, il martellante succedersi delle mode, la vetrinizzazione del Sé, ecco per la prima volta mostrata, con crudo realismo, la sfera del dominio e della costrizione.

Il trattato è composto da una concisa esposizione delle premesse generali della moderna anatomia funzionale, in cui si dà conto del contesto e dell’obiettivo generale di questa scienza applicata: poche frasi, ma fulminanti.
Seguono quindici tavole minuziosamente disegnate da Kaius, ciascuna delle quali è accompagnata da una puntuale didascalia che descrive gli effetti di queste protesi anatomo-funzionali destinate a Docenti e Studenti – ma evidentemente, come precisato nell’esposizione iniziale, applicabili anche ad altri ambiti – con lo scopo di fluidificare e accrescere la loro partecipazione al contesto lavorativo.

A intervallare, una serie di lemmi completa l’opera, così da permettere a chi è nuovo a questo genere di discipline di avvicinarvisi più agevolmente.

Non temano, i lettori, la durezza di taluni dei dispositivi qui presentati.
Col tempo, ci si abitua a tutto.

[dalla quarta di copertina]

Indice

pag. 2 Venghino, siòri, venghino… (introduzione)
pag. 3 Tavola I Muscolo cardiaco ed encefalo
pag. 4 Lemma 1 Lavoro salariato (o dipendente o subordinato)
pag. 5 Tavola II Sostituzione oculare con camera panottica
pag. 6 Lemma 2 Lavoro autonomo
pag. 7 Tavola III Amputazione delle orecchie
pag. 8 Lemma 3 Lavoro volontario (o gratuito o corvée)
pag. 9 Tavola IV Occlusione definitiva delle narici
pag. 10 Lemma 4 Lavoro di cura (o di servizio)
pag. 11 Tavola V Protesi di potenziamento linguale
pag. 12 Lemma 5 Assemblea
pag. 13 Tavola VI Impianto permanente di divaricatore anale progressivo
pag. 14 Lemma 6 Sciopero
pag. 15 Tavola VII Trapianto pilifero allo stomaco
pag. 16 Lemma 7 Sciopero politico (o di massa)
pag. 17 Tavola VIII Trasfusione di piombo nelle cavità ossee dei piedi
pag. 18 Lemma 8 Sfruttamento (e suoi rimedi)
pag. 19 Tavola IX Blocco meccanico dei bulbi oculari e morso equino per cavità orale
pag. 20 Lemma 9 Scuola (pubblica)
pag. 21 Tavola X Potenziamento delle mani
pag. 22 Lemma 10 Scuola (privata)
pag. 23 Tavola XI Giogo
pag. 24 Lemma 11 Università
pag. 25 Tavola XII Razionalizzazione dell’apparato digerente e asportazione del fegato
pag. 26 Lemma 12 Crisi
pag. 27 Tavola XIII Castrazione-infibulazione
pag. 28 Lemma 13 Servitù volontaria
pag. 28 Lemma 14 Repressione
pag. 29 Tavola XIV Impianto di placche di metallo tutoriali per le ginocchia
pag. 30 Lemma 15 Emergenza (stato d’-)
pag. 31 Tavola XV Impianto di placche di metallo tutoriali per le caviglie
pag. 32 (presentazione)

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Sciopero infinito

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…il temibile e surreale Carrabrone, riempitosi d’una moltitudine di strane singolarità che si
contagiano menti e corpi, in un volo per nulla aggraziato, sfida la sua stessa struttura alare…
(“La struttura alare del calabrone, in relazione al suo peso, non è adatta al volo,
ma lui non lo sa e vola lo stesso”)

 

Verso lo sciopero infinito

Nell’apparente normalità delle nostre metropoli, scandita dal ritmo monòtono di lavoro-consumo-lavoro, si aggirano spettri che, spesso nell’anonimato, odiano il lavoro che hanno e quello che non hanno, disprezzano i loro superiori, praticano il furto nei supermercati, occupano abusivamente le case, sono dei sistematici assenteisti, non tollerano il decoro della città. Gli ultimi di questa schiera vivono ai margini della metropoli, senza diritti, e si riconoscono perché il loro aspetto, il loro comportamento, i loro abiti, il colore della pelle, la lingua rivelano immediatamente la loro condizione. Altri sono ben nascosti sotto l’aspetto rassicurante del ‘buon cittadino’, del ‘buon lavoratore’, dello studente. Spesso non si conoscono, talvolta formano dei piccoli gruppi, altre volte diffidano l’uno dell’altro, ma ciò nonostante esistono, erodono nei loro comportamenti la sicurezza del potere e, quel che è più importante, ci sono momenti in cui riescono persino a prefigurare un altro modo di vivere nella metropoli.

Quando i potenti invocano più sicurezza è perché istintivamente avvertono che esiste una moltitudine di singolarità in grado di incrinare la certezza di un ordine consolidato, di un tempo sempre uguale a se stesso, di un mondo apparentemente immodificabile. Un grande teatro dove tutti recitano le parti a loro assegnate: il padrone comanda sul lavoro altrui, il politico amministra la cosa pubblica, il poliziotto fa rispettare la legge, il sindacato difende i ‘diritti’ dei lavoratori e i lavoratori producono.
Nelle società democratiche lo sciopero ha il suo posto nell’ordine delle cose. A scadenza regolare, entro i limiti consentiti dalla legge, con le dovute forme, sempre con l’appoggio del sindacato (più o meno di base), i lavoratori possono avanzare le loro rivendicazioni.
Penseranno poi i sindacati a mettere d’accordo le parti in conflitto attraverso un’adeguata contrattazione che soddisfi il padrone e il lavoratore. Presto ci si accorgerà che la ‘giusta’ contrattazione non cambia le nostre vite: si può vincere (strappare un posto di lavoro in più, magari a discapito di altri lavoratori che lo perdono; ottenere qualche altra briciola di salario per gettarci ancora di più nel mondo incantato delle merci; conquistare una gabbia sicura per tutta la vita) oppure perdere (il lavoro, il posto, la sicurezza, la possibilità di consumare), ma la sostanza delle cose non cambia.
Il giorno dopo ognuno riprenderà il suo posto: il lavoratore al lavoro, i padroni al comando, i poliziotti a garantire l’ordine e i politici ad amministrarlo. Tutto resterà come prima.

Proviamo invece a immaginare uno sciopero infinito, uno sciopero che non termina, che ha come fine la costruzione di un altro modo di vivere. Proviamo a immaginare un corteo che non si conclude, che è solo momento di raccordo di corpi che non si separano alla fine, che mantengono vivo il calore della vicinanza. Proviamo a immaginare uno sciopero che ci unisca all’astensione forzata di coloro che sono già oltre il margine, che sia prima di tutto contro noi stessi, contro le identità che ci vengono cucite addosso, contro noi in quanto lavoratori, contro noi in quanto cittadini, contro noi in quanto consumatori, contro noi in quanto studenti.
Usiamo pure le scadenze, le lotte, gli scioperi di questo o quel sindacato. Facciamone uso, sapendo però che la vera posta in gioco non è ottenere questo o quel singolo risultato, ma la costruzione di nuove forme di vita, di un modo nuovo di stare assieme che rovesci il mondo che abitiamo.
Non rivendicare niente è il primo passo per ottenere tutto.

Per fare questo dobbiamo costruire le forme organizzate dello sciopero infinito. Le relazioni, le amicizie dal basso che ci permettano di mettere in campo una forza costruttiva che faccia incontrare la metropoli spettrale nella quale ci aggiriamo e le dia forza, voce, calore.
Dobbiamo organizzarci come parte di chi non vuole appartenere, di chi rifiuta di essere lavoratore o cittadino, ma che invece costruisce il proprio essere attraverso la forma comune che lega le nostre diversità.
Uno sciopero infinito è fatto di sabotaggio, di furto, di distruzione del decoro, ma soprattutto dell’amore che lega tra loro singolarità diverse, è gioiosa inventiva capacità di mettere insieme tutto questo.

Lo sciopero infinito è la costruzione di nuove forme di vita fondate sulla messa in comune di ciò che non può essere fatto proprio da nessuno perché è la possibilità stessa dell’usare e dell’agire in comune.

Lo sciopero infinito è la metropoli che si fa parte, è l’uscita dalle identità imposte, è il carnevale delle singolarità, è il comunismo come possibilità data.

Prepariamo l’esodo dentro e contro la metropoli, costruiamo la metropoli della nostra parte attraverso un contagio indefinito di menti e corpi.

 

27/10/2017
franti

Che cos’è Franti? Franti non è qualcosa di diverso dallo sciopero infinito, frammento piccolo, piccolissimo di questo movimento di scissione. Spettro tra gli spettri che attendono l’ora del loro incontrarsi, annusarsi, toccarsi, contaminarsi, riconoscersi, amarsi.

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La riforma universitaria del 1969 – Legge Codignola

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La legge Codignola è preceduta da un’altra importante legge di riforma della scuola: la legge di istituzione della scuola media unificata del 31/12/1962 N. 1859.

Negli anni precedenti, lo studente aveva due possibilità per continuare gli studi dopo la licenza elementare: l’avviamento al lavoro, industriale o commerciale (le commerciali erano frequentate prevalentemente dalle ragazze che volevano “fare le segretarie”), o le scuole medie. L’avviamento al lavoro non permetteva l’iscrizione ai corsi superiori se non attraverso difficili esami integrativi; le scuole medie, riservate a chi aveva superato uno specifico esame d’ammissione, davano la possibilità di iscrizione diretta alle medie superiori.

Il 31/12/1962 la legge N.1859 accorpò i due sbocchi in un unico corso triennale: la scuola media unificata e obbligatoria che dava accesso a qualsiasi corso superiore dal liceo classico ai corsi professionali. L’avviamento al lavoro fu abolito.

L’accesso all’Università prima del 1969 era condizionato dal tipo di scuola superiore frequentata: il liceo classico dava accesso a tutte le facoltà; il liceo scientifico a tutte le facoltà tranne che a lettere e filosofia; il liceo artistico ad architettura; ragioneria a economia e commercio; perito industriale a ingegneria… le magistrali a Magistero. Sta di fatto che molti corsi universitari erano accessibili solo ai liceali: lettere e filosofia, medicina, legge …

La legge Codignola dell’11 dicembre 1969, N 910 “liberalizzò” l’accesso alle facoltà universitarie: fu possibile l’iscrizione a qualsiasi corso universitario con qualsiasi diploma ottenuto dopo un corso di studi di cinque anni.

Nel ’67 e nel ’68 quando ebbe inizio la protesta degli studenti universitari, l’Università era ancora “un’Università di classe”. Basterebbe ritrovare qualche analisi fatta allora dagli stessi studenti sul numero degli iscritti in base al lavoro del padre. Le analisi dimostravano che la percentuale di iscritti figli di professionisti, impiegati, insegnanti era decisamente superiore agli iscritti, figli di operai e di contadini.

Proprio contro l’Università così com’era, cioè di classe, discriminatoria a causa dei costi elevati, dell’organizzazione e dei programmi, nasceva la protesta.

Devono essere presi in considerazione anche alcuni dati di fatto: gli studenti delle superiori premevano dal basso. Nel 1967, per effetto della riforma della scuola media, si ebbe un numero molto elevato di studenti nelle superiori, non più così elitarie.

In Italia erano gli anni del “boom economico” e del “boom demografico”.

Il clima sociale spingeva verso una scolarizzazione di massa.

Alcune opinioni correnti di allora: “ i ragazzi che studiano sono fortunati, perché non lavorano, non devono spaccarsi la schiena”; “si studia NON per trovare lavoro (di quello ce n’è in abbondanza), si studia per trovare un lavoro MIGLIORE”: “ io, genitore faccio sacrifici per permettere a mio figlio di studiare perché non voglio che faccia la mia stessa vita”; “ chi studia ha gli strumenti per reagire ai soprusi e agli imbrogli”. Insomma la scolarizzazione era strumento di promozione sociale.

Non ci si dimentica la relazione tra interessi del capitale e minore o maggiore scolarizzazione, ma pur nella potenza e nel potere dell’istituzione, tale legame non funziona in automatico, senza intoppi, liscio come l’olio. Il movimento del ’67 e del ’68 è stato un autentico slancio contro quel legame, con tutti i limiti e le ingenuità del ‘68.

La riforma dell’Università del ’69 fu uno dei tentativi delle istituzioni di rispondere e di regolamentare le spinte dal basso. Schematicamente, in quegli anni funzionava così: lotte sociali > risposta delle istituzioni: repressione e riforme; per la scuola possiamo citare ancora la riforma che alleggerisce l’esame di maturità, sempre del 1969, e l’istituzione degli organi collegiali del ’74.

Per finire, una domanda: perché gli studenti di lettere e di filosofia dell’Università Cattolica di Milano, sostanzialmente “figli di papà” occuparono l’Università insieme agli studenti/lavoratori di economia e commercio (L’Università Cattolica era l’unica a Milano ad avere il corso serale di economia e commercio frequentato dagli studenti/lavoratori) e insieme a tutti gli altri? Per altruismo? Per senso di giustizia? Abbiamo un’altra ipotesi che ci piacerebbe discutere: per IDENTIFICAZIONE, per COMUNIONE, per il NOI TUTTI! La “coscienza di classe” interpreta il comune interesse economico in vari modi; in quel caso, per esempio, tra le altre cose, c’era il comune desiderio di emancipazione dalla famiglia.

Oggi, ovviamente, i tempi sono cambiati; l’unica cosa che possiamo dare per certo come invariata è il desiderio dei “padroni” di controllo e di utilizzo della scuola, a seconda del loro interesse.

Franti&cobras, giugno 2017

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La teoria dei Numeri chiusi

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La teoria dei numeri chiusi, che ha subito nei tempi storici alterne vicende, è recentemente stata riportata in auge dal Prof. Gill von Vague1, valtellinese.

La teoria si basa sul presupposto che esista, affianco all’insieme dei numeri naturali N, all’insieme dei numeri reali R e dei numeri complessi C, l’insieme dei numeri chiusi K che è un sottoinsieme chiuso di N e gode di proprietà del tutto particolari.

Somma di numeri chiusi

Per i numeri chiusi è possibile definire un operatore somma:

k1 + k2 = k3

che è dotato di uno zero:

k + 0 = k

questo operatore di somma gode della proprietà commutativa:

k1 + k2 = k2 + k1

I numeri chiusi possono quindi considerarsi a tutti gli effetti un gruppo abeliano o commutativo.

Gli elementi di un gruppo di numeri chiusi, se sommati, generano un elemento appartenente allo stesso gruppo, uguale e non maggiore ad uno dei due addendi:

k1 + k2 = k3 con k3 <= max(k1, k2)

Cioè sommando due numeri chiusi non si ottiene mai un numero maggiore del più grande dei due.

Iscrizione

L’appartenenza di un numero all’insieme dei numeri chiusi è detta iscrizione. L’operatore di
iscrizione non ha un inverso e seziona l’insieme dei numeri in due sottoinsiemi a intersezione nulla.

Prodotto tra numeri naturali e numeri chiusi

È definito un operatore di moltiplicazione tra l’insieme dei numeri chiusi e l’insieme dei numeri naturali <K * N> che da come risultato sempre e solo il numero appartenente a K. Ossia l’intero insieme dei numeri naturali puo’ essere visto come l’unità per l’insieme dei numeri chiusi:

k * n = k per ogni n ϵ N e per ogni k ϵ K

Somma tra numeri chiusi e numeri naturali

Non è, invece, definito un operatore di somma tra numeri chiusi e numeri naturali, anzi vi è una attenzione particolare a questo tipo di operazione. Sommare numeri chiusi a numeri naturali produce risultati impredicibili2 ne discende il

primo teorema di Vague

(K + N = ?).

Operatori

L’operatore che trasforma un numero naturale in numero chiuso si chiama nutKracker (nK).

Valgono, per il nutKracker, le seguenti banali proprietà:

nK(n) K

nK(n1+n2) = nK(n1) + nK(n2) = k1 + k2 <= max(k1,k2)

In buone parole l’insieme dei numeri chiusi è tale che sommando o moltiplicando non se ne esce mai.

Applicazioni

I numeri chiusi trovano un’applicazione proficua in fisica in quanto, in particolari condizioni, accentuano la generazione di solitoni in movimento, onde solitarie altrimenti dette soloni (o saloni) mobili (o del-mobile).

Lo spazio che la teoria dei numeri chiusi è in grado di generare per i saloni del mobile è sperimentato e vasto3 benché ancora oggetto di studio.

Si suppone che tale teoria, nata dalla matematica e passata alla fisica, possa generare benefici risultati anche nelle scienze economiche.

Il paradosso della torta

Noto è il paradosso della torta per cui una torta divisa per un numero chiuso genera fette sempre più grandi di una equivalente torta divisa per un numero naturale.

Avverse fortune della teoria dei numeri chiusi

La teoria dei numeri chiusi è al momento molto in auge, i suoi favori attraversano la comunità scientifica raccogliendo consensi dai piccoli e grandi ricercatori alle alte baronie e sembrano, con questo, confermare la sua validità.

Voci discordanti, però, provengono dai rumorosi corridoi e da qualche scritto del professor Ommot von Bigol4, anch’egli valtellinese, che sostiene che la teoria non ha alcuna reale base scientifica sperimentale e che, anzi, avanza l’ipotesi secondo cui un gruppo chiuso (K) diviso per un gruppo naturale (N) non possa che disperdersi in un gruppo reale continuo (R), derivabile e completo. Da ciò Ommot deduce che l’incompletezza del gruppo dei numeri chiusi non puo’ che essere cagione della sua rottura5.

Stupisce la disattenzione della comunità scientifica nazionale ed internazionale a quelli che potrebbero essere gli effetti della teoria del numero chiuso se applicata al mondo reale, al contrario degli istituti di economia che vi hanno già investito, e ricavato, ingenti somme.

La comunità scientifica sembra essere al momento più interessata alla teoria del trasferimento o del movimento forzoso che però, nel parere di chi scrive, non è del tutto estranea nelle premesse e nelle conseguenze alla teoria del numero chiuso.

Vale in conclusione segnalare un nuovo canale di ricerca che si basa sull’ipotesi che si verifichi una crescita esponenziale qualora l’operatore nK() sia applicato all’operatore scolastico tax():

ipotesi di Ommot o ‘del corridoio’

nK(tax(n)) = tax exp(tax(n))

giugno 2017, ommot

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1 Il prof Vague si laurea in medicina negli anni ‘80 e si specializza in “Anatomia patologica a seguito di ripetuti forti colpi sul corpo”, tecnica di cui ipotizzò applicazione nelle SPA e nei Chiostri rinascimentali come forma di cura al baccanismo e all’indipendentismo, malattie oggi rare ma un tempo virulenti.

Come Ivo Livi, che divenne Yves Montand grazie a sua madre che lo apostrofava dalla finestra: “Ivo monta, che la pasta è pronta!”, così Gill, seguito dalla genitrice negli studi di matematica e da essa sollecitato: “Gill, ti prego, non essere vago”, risulta oggi più noto col nome di Gill Vago.

2 Un po’ come sommare numeri reali a numeri immaginari genera lo spazio dei numeri complessi così sommare numeri naturali e numeri chiusi potrebbe generare degli spazi multidimensionali aperti di cui ancora non si conoscono né dominano le proprietà.

3 Su questo il professor Vague, insieme ai suoi sodali Senatori, ha prodotto numerosissime pubblicazioni tutte disponibili in letteratura.

4 Ommot Bigol, noto perdigiorno, è il fondatore di “tha Beagle C@mpany” che ha dato vita recentemente ad una singolare crypto-moneta.

5 Questo spiegherebbe quello che taluni chiamano “L’enigma della rottura” e che potrebbe corrispondere all’ottava catastrofe elementare del sistema descritto da René Thom.

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Appunti (scarabocchiati) di Franti per le lezioni sui dispositivi (lato B)

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Corrono

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bicycleplymouth2

Corrono. Venti/trentenni quadricipiti torniti, agili spingono il pedale, lesti alla svolta, attenti a cogliere l’attimo del sorpasso, del vuoto che si crea nel traffico cittadino, per infilarvisi.
Par di vedere quei ciclisti newyorkesi, capaci di mirabolanti performances sul loro mezzo, decisamente il più veloce nella jungla d’asfalto. Taluno si dota d’un motorino, ma occorre pur sempre metter miscela e, poi, fare i conti della giornata.

Corrono, corrono a soddisfare l’appetito della città frettolosa. Un click su un’app li mette in moto verso fornitori e destinatari.

Foodora, Just-it, Deliveroo, sono attualmente le agenzie che gestiscono questo traffico moderno. Non forniscono i classici strumenti contrattuali d’un tempo; tutto è più veloce, moderno appunto, e lo stesso click è sufficiente ad escludere, a ‘licenziare’, si sarebbe detto allora, senza fastidiose conseguenze.
È la filosofia del tempo, quella del lavoro precario e flessibile, del jobs act, quella del lavoro gratuito di Expo o dell’alternanza scuola-lavoro della ‘buona-scuola’. La filosofia che mira a farti sentire il ‘valore’ del lavoro, a fartelo vivere come una fortuna, non come una condanna, quale è. La battaglia che conduce questo moderno padronato non è solo sulle nuove condizioni di lavoro, è soprattutto sul ‘valore’ da attribuire al lavoro.

A Torino si trovano, si conoscono e ri-conoscono, e, nonostante la minaccia dell’esclusione dalla app, danno inizio ad un percorso collettivo di rivendicazione dei più elementari diritti: salario, contratto che garantisca ferie e malattia, tutele dalle rappresaglie dell’azienda…

Stupiti (quasi) nel raccontare le miserabili condizioni che li fanno sfrecciare per la città, si devono persino giustificare per averlo scelto, quel lavoro, e dopo averlo scelto di averlo trovato stretto. Si scopre (di nuovo) che non vi sia nulla di strano nel definire sfruttamento un rapporto di lavoro, che sarebbe tale anche in presenza di un contratto a tempo indeterminato. Perché mai il padrone si avvarrebbe dei loro servigi se non per sfruttarli e ricavarci profitto, ricchezza? E che c’è da stupirsi di chi ‘sceglie’ un lavoro da sfruttato? E’ un’opzione possibile questa? O l’unica possibilità?

E tuttavia il gruppo cresce, scopre la forma dell’autorganizzazione, rompe il silenzio, viola l’assunto che la parcellizzazione del lavoro impedisca le azioni collettive, si fa catalizzatore di movimento ed attenzioni. Da Torino si muove a Milano, gli occhi guardano la Germania, la sede centrale. Anche là il trattamento è dello stesso tipo, è la globalizzazione.

Stupiti (forse), ma per nulla inconsapevoli, chiedono l’impossibile: “un contratto nazionale”. Nel mondo della precarietà e della servitù volontaria questa richiesta si legge come una provocazione.
Ma come, non siamo per le trattative individuali? La differenziazione su piccola scala? Già a Milano i loro colleghi prendono un po’ di più, e forse anche tra loro ci sono scale di diversificazione più fini.

Hanno saputo radicarsi, raggiungere una certa ‘massa critica’ e la giocano nel rapporto di forze. Devono fare in fretta, e chi li guarda dovrà fare in fretta a prendere l’esempio prima che qualcuno trovi l’antidoto o li faccia tacere.

Alcune professioni si basano sul profitto che si ricava dal lavoro degli altri. Il politico, il giudice, il sindacalista a tempo pieno(1)…. Da questi dovranno guardarsi con cura, usarli se serve, senza rinunce del proprio vissuto autorganizzato e mantenendo la loro autonomia progettuale. Gli diranno che non si può, che non si fa così, che è incompatibile e avranno ragione, l’incompatibile è (per ora) la loro meta.

Così come gli studenti, che si son rotti del teatrino della protesta mediata, dell’occupazione concordata, che sanno che quel che li aspetta da grandi sarà di inforcare un biciclo per fiondarsi nella città trasportando cibo o oggetti di varia natura, e che sanno che quel che potranno scegliere allora sarà se farlo per un soldo di cacio o per operare una rivoluzionaria trasformazione, sarà bene che prendano esempio, si conoscano e ri-conoscano sin da ora. Chissà mai che non insegnino qualcosa loro a quei maestri spesso già stanchi prima ancora di incominciare.

 

(1) D’altre professioni, quali il manager e il poliziotto, sarebbe meglio facessero a meno.

Franti ottobre 2016

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La scuola è finita. Ancora un piccolo sforzo

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La questione non è di avere 16, 30 o 77 anni. Dobbiamo smettere di credere che la gioventù  è una fase di transizione. Non si è giovani, e poi, in seguito vecchi. Non si è vecchi perché si è stati giovani. La gioventù è l’opposto del lasciarsi andare: è partire  all’assalto del mondo, compreso quando si tratta di rovesciarlo

Gli studenti francesi in rivolta

Sebbene in forma ovattata, benché protetti dal buon senso dell’istituzione, lo si sente anche tra le mura delle scuole quanto questo mondo sta cadendo a pezzi. Non bastano più gli insegnanti a tenere buoni gli studenti, i presidi a tenere buoni gli insegnanti, ‘ la buona scuola ‘ a vendere merce avariata, le imprese ad  insegnare quanto è bello lavorare senza essere pagati, concorrere per un posto di lavoro precario. Le mura delle loro scuole stanno cadendo a pezzi e non servono  gli investimenti per l’edilizia scolastica, le crepe hanno ben altra natura che quelle meramente materiali.
Il senso di fine del loro mondo traspare da ogni parte. La loro retorica: doveri, democrazia, diritti, costituzione, tutto quel perbenismo ipocrita che trasuda nelle aule  scolastiche sa di marcio; non ci crede  più nessuno, neppure chi ripete stancamente gli stessi ritornelli da anni. Guardate Ventimiglia, guardate il Mediterraneo, guardate lo sfruttamento dei lavoratori della logistica, ecco dove vanno a sbattere le loro parole umanitarie, civili, di buon senso… ipocrite.
Il mondo che ci è stato consegnato da secoli di violenza e sfruttamento non è più tollerabile alla nostra intelligenza comune. I valori di una élite mondiale in disfacimento: proprietà, individualismo, profitto producono mostri. E i mostri si dispiegano tutti davanti ai nostri occhi nella forme insopportabili della miseria, dei ghetti nelle città dell’opulenza, della deportazione, dei muri, delle loro guerre infinite. Sempre più ricchi i ricchi, sempre più poveri i poveri.

Se questo è il mondo che ci offrono, questo il loro ordine del mondo, Il loro ordine merita il nostro disordine. E la scuola è un buon terreno nel quale portare il disordine.

Siamo ad un bivio: accettare fatalisticamente ciò che accade, farne parte, oppure, al contrario,  produrre  con metodo la distruzione di questo mondo confidando sulla  potenza di un collettivo umano capace di costruire su basi ‘comuni’ il nostro abitare la terra, elaborando strumenti ed esperienze di un vivere diverso.

Noi lo dichiariamo apertamente: al loro mondo fondato sull’individualismo possessivo opponiamo le nostre pratiche di costruzione  di un mondo in comune.