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CAOS E SCUOLA

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La creatività non si trasmette. Ma ognuno incontrando l’occasione di poterla sperimentare, può accendersene.
(Danilo Dolci)

La scuola è luogo di relazione e non di dominio e di addestramento.
(sint. da Francisco Ferrer)

L’anno tragico di pandemia appena trascorso è stato non solo un anno di cambiamenti improvvisi e dolorosi nella vita quotidiana, ma anche di profonda confusione. In questo caos è certo che il Capitale stia approfittando della situazione per uscire da una crisi più che decennale mettendo in campo molte risorse economiche insieme a forti strumenti di pressione sociale che si legittimano in nome dell’emergenza (secondo uno schema già visto molte volte). In questa ristrutturazione svolge un ruolo importante anche la scuola, che ne viene interessata nelle sue forme organizzative e finalità. La scuola, vista come luogo di accompagnamento al lavoro, non può che seguire le esigenze di quest’ultimo e, in ultima analisi di chi, da questo, trae maggior profitto.

Proveremo perciò ad esprimere su questo terreno un punto di vista non volto ad un ritorno alla “normalità”, concordando con chi ha detto che innanzitutto questo fosse il problema.

Partiamo da un ragionamento limite.
La scuola attuale è sostanzialmente la risposta del Capitale al bisogno di formazione della forza lavoro: ha educato, nel tempo, ad usare il tornio, l’ago e il filo, la scrittura, il computer, la disciplina, l’obbedienza e il rispetto delle gerarchie.
Qualche squarcio di esperienze alternative che hanno colorato il cielo del sapere non sono bastati ad imporre un cambiamento di rotta. In questo senso non ci sarebbe che da rivendicare l’abbattimento dell’attuale sistema scolastico.
Sciogliere il sistema scolastico di oggi è un concetto forte e non privo di fascino, ma lascia aperta una questione che riteniamo fondamentale: uno dei più profondi aspetti della vita animale, che assume particolare rilevanza nel genere umano, è certo la cura nella crescita, cioè il “tirar su” cuccioli e cucciole, perché l’autonomia è un’attitudine che si acquisisce per gradi. Un proverbio africano dice:”per allevare un bambino ci vuole un intero villaggio”.
La scuola, parte di questo villaggio, è ancora un luogo di aggregazione e convivenza delle giovani generazioni, è il luogo dove avviene la crescita e la maturazione all’età adulta; crescere è un’arte difficile, che non si fa da soli, crescere è confrontarsi con le contraddizioni, che vanno saputeattraversare e non evitate.
L’abbattimento della scuola, quindi, nudo di valide alternative, sulle quali eventualmente concentrare il proprio sforzo immaginativo, eliminerebbe la necessaria attenzione per i bisogni dei più giovani, che lascia pian piano il posto alla necessità dell’educazione e al racconto di alcune esperienze di vita.

Ciò detto non vediamo, oggi, alternative ad abitare la catastrofe, ovvero provare a cambiare la scuola in modo radicale, contrastando passo passo le tendenze in atto. Il terreno, dunque, non può essere che quello conflittuale di resistenza e controproposta.
Le linee guida di questa resistenza ci sembrano quelle di una scuola fatta di mutua cura, di riconoscimento reale per le giovani generazioni e di confronto con quelle adulte, una scuola che abbia come primaria finalità quella di una piena autonomia di ragazze e ragazzi anche attraverso il conflitto verso ogni misura che connoti la scuola come luogo del mercato, sia esso inteso come disciplinamento di forza lavoro in formazione, o come terreno in cui far proliferare interessi privati.

D’altro canto, è nella relazione, pure affettiva, che si costruiscono resistenze e possibilità; non vogliamo che questa maledetta pandemia diventi la stampella per i programmi di Lorsignori. Perché è questo che sta avvenendo! Non si tratta qui di negare l’esistenza d’un pericoloso contesto pandemico, ma di porsi in guardia circa i processi d’altra natura, favoriti dalla situazione in atto.

Per questo dunque riaffermiamo l’insostituibilità delle relazioni, tra pari, tra giovani ed adulti al di fuori delle famiglie: la scuola non deve essere un luogo disciplinante, ma un luogo dove si persegue l’autonomia, un luogo dove non si deve apprendere un lavoro, ma imparare innanzitutto a valutare quali sono le attività necessarie, a sé e agli altri, e quindi capire come farle al meglio, grazie allo scambio, con tutte le imperfezioni, gli errori, gli scontri, le incomprensioni, i dubbi, le certezze, le gioie, l’evoluzione tipiche dell’agire in comune.

C’è davvero tantissimo da cambiare sia materialmente sia nell’immaginario collettivo:
bisognerebbe partire dall’evidenza che il funesto sistema economico-politico che governa buona parte del mondo è fondato sulla truffa di una crescita infinita che poggia su risorse limitate, per mascherare il profitto di pochi. La scuola, da antidoto rischia di divenire volano della dipendenza dal possesso, del bisogno indotto di consumare tutta una serie di oggetti ed esperienze inutili e dannose, per i singoli e per il pianeta.
Anche in questo v’è la necessità d’una forte battaglia culturale.
Dal punto di vista teorico si potrebbero riprendere le idee e le riflessioni critiche più significative degli ultimi decenni: vengono in mente l’estensione immediata dell’obbligo scolastico a 18 anni, la liberalizzazione dei programmi, il primo biennio uguale in tutte le superiori con lo studio difilosofia, educazione sentimentale e sessuale, lo studio dell’attualità in storia, insegnamento-apprendimento di conoscenze ed abilità a discapito delle competenze, un fortissimo ridimensionamento della valutazione attraverso l’eliminazione dei voti e delle prove Invalsi, abolizione dell’alternanza scuola-lavoro (PCTO), abolizione dei libri di testo e della rigidità delle discipline, educare alla critica e alla differenza, alla comprensione delle dinamiche di potere e di dominio, alla soluzione collaborativa e solidale dei problemi, ecc. ecc.

Dal punto di vista più organizzativo e pratico si potrebbe partire da un ripensamento dell’architettura di tutti gli edifici scolastici inadeguati, dal limitare il numero max di alunni nelle classi di ogni ordine e grado a 15-20 (“mai più classi pollaio” si era detto un anno fa, ed eccoci qua, esattamente come allora), dal garantire continuità didattica attraverso la stabilizzazione e il riconoscimento degli insegnanti precari, dal creare un processo decisionale consiliare attraverso l’abolizione del dirigente scolastico, l’autogestione e la rotazione delle figure di coordinamento e la suddivisione delle mansioni più gravose, mantenendo un confronto franco con i genitori, eliminando però l’approccio aziendalista che ha reso questi ultimi, assieme ai loro figli, dei meri clienti. Abbiamo un’idea di educazione diffusa nel territorio, luogo di dialogo e di scambio tra scuola e quartiere/paese/città, ma anche tra istituti scolastici diversi, multidiscipliare e multigenerazionale, immaginando magari anche ambiti di discussione, di studio, di aiuto, di attività varie, nel pomeriggio per uscire dall’idea che si impari unicamente a lezione.

Riguardo alla tecnologia come ultima, ma importante questione, siamo per riportare la tecnica al suo valore d’uso, strumentale all’apprendimento e non pervasiva, come a tutt’oggi, rendendosi indipendenti dai colossi informatici, cercando di elaborare delle esperienze di autogestione digitale.
Si profila, invece, dopo l’enorme danno della smaterializzazione, una beffa ancor più grande: sembrerebbe che anche la porzione del fondo europeo, denominato ipocritamente next generation UE, assegnato al capitolo istruzione, verrà destinato in gran parte alla digitalizzazione ed alla cosiddetta formazione permanente, per aiutare le imprese a formare futuri lavoratori dalla piena manovrabilita’!!

Come se non bastasse, uno dei pochi interessi di ministero e sindacati maggioritari è stato quello di stipulare un nuovo contratto integrativo che limita ulteriormente le già difficili possibilità di sciopero dei lavoratori della scuola, e che già ha impedito a lavoratrici e lavoratori della scuola di poter scioperare l’8 marzo.
L’attacco negli ultimi decennni è stato fortissimo ed ha ottenuto la frammentazione dei soggetti, la demolizione delle classiche, già tra l’altro spuntate, forme di lotta, la cooptazione sempre più stringente delle corporazioni sindacali.

ADESSO BASTA! E’ TEMPO DI RIPRENDERCI LO SPAZIO DEL CONFLITTO.

Non si tratta di avere verità in tasca, ma piuttosto di riattivare la circolazione di idee-contro. Perciò, dopo un anno di intenso egeneralizzato spaesamento e soprattutto di isolamento fisico, abbiamo bisogno di confronto, di dialogo, ma anche di azioni concrete e radicali per mutare le condizioni esistenti.
In quest’anno difficile siamo certi che delle esperienze di riflessione e lotta si siano concretizzate. Dobbiamo raccoglierle confrontarle, tentare di
ricomporre un tessuto di relazioni per costruirne un quadro che ci orienti.

Sappiamo che le esperienze delle città, delle periferie, delle province, nelle diverse latitudini di un paese stretto e lungo sono diverse. Dobbiamo
smettere di pensare che ciascuno abbia una visione completa. Il Capitale, questo, lo fa già molto bene”!
Chi scrive è un collettivo di insegnanti/studenti/genitori con un’esperienza 50ennale di lavoro e di lotta nella scuola.
Invitiamo tutte e tutti coloro che la scuola la vivono, e spesso la soffrono, quotidianamente a ritornare protagonisti.
Avevamo pensato già ad un’assemblea pubblica all’inizio di quest’anno scolastico, ma poi il ritorno massiccio di contagi e decessi e le conseguenti limitazioni ci hanno costretto a differire. Adesso, nel pieno della cosiddetta terza ondata pur essendo pronti a convocare un incontro, abbiamo deciso di procrastinarlo ulteriormente, soprattutto perchè riteniamo valore la presenza fisica, il calore umano, quantomeno il guardarsi negli occhi.

Al contempo abbiamo sentito forte l’urgenza di diffondere questo scritto come per “gettare un sasso nello stagno” …. ci auguriamo che le onde
attraggano la vostra attenzione e vi stimolino a risponderci, per provare a rassodare un terreno materiale ed immaginario comune, per iniziare a
tessere insieme una rete di complicità che cospirino per un futuro migliore della scuola e del mondo.

Un’ultima precisazione
confessiamo la nostra incompatibilità con alcuni comportamenti umani.

Perciò, pur rivendicando un ecumenismo non di facciata, chiediamo cortesemente di astenersi dalla partecipazione a capetti, caporali, principi, vassalli, servi volontari, segnalatori di mele marce, sacrificatori di capri espiatori, meritocratici, combattenti di guerre tra poveri, delatori ed infami.

Hasta la vista!
Franti

Web: https://franti.noblogs.org
Email: franti@inventati.org
Twitter: @ilFranti
Milano, marzo 2021

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